A PROPOSITO DELL'AMORE

dramedy romance, BB, NC17, spoiler sino alla fine della terza stagione

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  1. donata69
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    ma non vale!!!!!! non puoi lasciarci così nell'incertezza!!!!!!!!!!!!!!! posta presto, TI PREGO.............
     
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    Nuoooo ç___ç
    ma non ci puoi lasciare così! ç_ç
    qui va tutto a rotoli!! :angry:
    jack e cam, ange e la tizia, brenn che... che cavlo è successo a seel??? :whaat:

    spero che il seguito arrivi presto!
    e poi son curiosa di vedere se jack e ange si riavvicineranno...

    CITAZIONE
    “Non si può vincere in due”.
    “In amore sì, Bones”.

    bellissima questa frase! :wub:
     
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    Oh un cliffanger!
    Posta presto Franca, voglio sapere cos'è successo a Booth stavolta!
     
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  4. Dreamhunter
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    Grazie a tutte per i commenti. ;)
    Ed ecco il nuovo capitolo. ^_^ E' quello che chiude la terza parte.
    Dopodiché partirà la quarta parte, quella conclusiva.
    Buona lettura!!!!


    CAPITOLO XXI
    Mentre correvano in ospedale, scoppiò un temporale estivo e il traffico le rallentò. Angela continuava a ripeterle di stare calma, anche se di fatto Temperance non si muoveva né parlava, gli occhi fissi sui tergicristalli e i bagliori distorti dal vetro bagnato dei fanali posteriori delle auto che precedevano la loro.
    “Lui sta bene, ricordatelo”, insisteva Angela, pigiando di tanto in tanto sul clacson. “Perotta ha detto che ha solo una ferita di striscio e ha battuto la testa, tutto qui. Per cui non c'è di che spaventarsi”.
    Temperance annuì. “Lo so”, mormorò.
    Ma aveva ugualmente il cuore bloccato in gola, quando la macchina si arrestò bruscamente nel parcheggio dell'ospedale. Non attese che Angela fermasse il motore e si precipitò all'entrata del Pronto Soccorso, sotto la pioggia, giungendovi bagnata fradicia. Tremava dentro. Tutto le sembrava così simile all'anno prima... Un colpo di pistola. Le sirene. Le luci. Il sangue. La paura...
    L'agente Perotta le corse subito incontro, bianca in volto. Con la camicetta macchiata di sangue.
    “E' meno peggio di quel che sembra, dottoressa Brennan”, la avvertì. “La ferita è superficiale ma ha sanguinato parecchio...”.
    Il rosso del sangue di Booth. Era insensato da pensare, però ogni volta che vedeva il sangue di lui, Temperance aveva l'impressione che fosse più rosso di qualsiasi altro sangue... Più vivo.
    Vita che fuggiva. Che scorreva tra le dita.
    “Dov'é?”, chiese a denti stretti.
    “Lo stanno medicando...”.
    “Com'è successo? Al telefono non è stata molto chiara”.
    “Io... ecco, beh...”. Perotta si sedette di peso su una delle poltroncine lungo il corridoio affollato di medici, infermiere e pazienti. “Stavamo partecipando ad un'irruzione. Dovevamo accerchiare un edificio. Booth ed io avanzavamo sul lato ovest e... ci accingevamo a risalire una scaletta antincendio, ma ho sentito un rumore e mi sono allontanata per controllare e... c'è stato un gran fracasso e degli spari... ”. La giovane donna scosse il capo torcendosi le mani. “Non so bene come sia accaduto. Hanno sparato dall'alto, colpendolo al braccio, lui è scivolato ed è caduto giù dalla scaletta che stava salendo e...”.
    “Lo aveva lasciato da solo”, sibilò Temperance, livida.
    “Dottoressa, c'era stato un rumore...”.
    “Non mi importa. Lei è la partner di Booth, agente Perotta. Deve proteggergli le spalle, non voltargliele. Poteva morire, mentre lei andava a caccia di rumori, anziché rimanere a coprirlo”.
    “Dottoressa, mi ascolti...”.
    “Stia lontana da me, agente Perotta. Non sono in grado di gestire le mie reazioni in questo momento. Mi dica solo dove lo stanno medicando e sparisca dalla mia vista”.
    Angela arrivò giusto in tempo per udire quelle ultime glaciali parole, cariche di collera trattenuta a stento. Guardò sconcertata Perotta che indicava mortificata una porta laterale.
    Come una furia, Temperance la aggirò e scorse immediatamente Seeley disteso su un lettino, con l'avambraccio sano ripiegato sugli occhi chiusi. Gli avevano tolto la camicia e anche la canottiera bianca era insanguinata. Sull'altro braccio, abbandonato lungo il corpo, spiccava un largo bendaggio. Lei si avvicinò, trepidante.
    “Booth...”.
    Lui si scoprì gli occhi e sbatté le palpebre, sotto la luce forte dei neon. “Ehi, Bones...”. Le rivolse un debole sorriso. Era pallidissimo. “Non volevo nemmeno che Perotta ti chiamasse. E' una ferita da nulla... Ma ho un gran mal di testa, dopo che l'ho sbattuta cadendo, e i dottori insistono per farmi qualche esame. Credo che mi terranno qui per la notte...”.
    “Stai tranquillo”, lo zittì lei, accarezzandogli una guancia.
    “Avevo il giubbotto antiproiettile, sai... Sono sporco di sangue perché poi me l'hanno tolto. Io però l'avevo messo”.
    “Certo, Booth. Non ne dubitavo”.
    Lo sguardo di Seeley era un poco appannato, confuso. “Mi dispiace, Bones... Ti avevo promesso di stare attento...”. Lei si chinò a baciarlo sulla fronte.
    “Non preoccuparti”, gli sussurrò, con le labbra contro la sua pelle. Era caldo e sudato. Avrebbe desiderato abbracciarlo stretto e portarlo in un posto buio, loro due soli. “Non è stata colpa tua”.
    “Non è colpa neppure di Perotta, Bones...”.
    “Smettila di parlare, adesso... Rilassati”.
    La mano di lui le si posò su un fianco. “Sei tutta bagnata... Piove?”.
    “A dirotto”.
    “Bene, perché altrimenti dovrei tenerti il broncio se quelle sulle tue guance fossero lacrime...”.
    “Non c'è da scherzare, Booth”.
    “Non scherzo. Non voglio che tu stia in ansia... Dimenticati dell'altra volta, d'accordo? Domattina nessuno ti comunicherà che sono morto durante la notte...”.
    “Questo è sicuro. Infatti non mi muoverò di qui”.
    “No... Vai a casa. Io...”.
    “E' inutile. Arrenditi”.
    “Te ne approfitti perché sono ko, eh?”.
    Le strappò un lieve sorriso, ma dei passi nella stanzetta le impedirono di replicare a tono. Un medico dai capelli brizzolati era entrato con una cartella tra le mani.
    “Scusatemi... Lei è la moglie, signora?”.
    Seeley tentò di sollevare il collo. “Viviamo insie...”.
    “Sì”, rispose Temperance, tirandosi su.
    “Buonasera, signora. Suo marito le ha già spiegato che lo tratterremo per la notte?”.
    “Sì, mi ha accennato ad alcuni esami a cui intendete sottoporlo...”.
    “Esatto. Ora...”. L'uomo si scostò, mentre un infermiere arrivava per spingere via la barella di Booth. “... lo portiamo in corsia, così potremo monitorarlo e prepararlo. Le farò sapere subito dov'è, non appena avranno finito di sistemarlo”.
    Le dita di Seeley persero la presa sulle sue e lei fremette nel vederlo scomparire oltre la porta, inerme e fragile sulla barella...
    “Perché dovete fargli degli esami?”, domandò fissando il medico.
    “Ecco...”. L'uomo serrò le labbra. “Le risulta che suo marito soffra di emicrania, ultimamente? Vertigini?”.
    “Uh, no, non mi sembra. Ma questo cosa c'entra con quello che gli è accaduto? Ha sbattuto la testa cadendo...”.
    “In realtà non ne siamo certi”.
    “In che senso?”.
    “Vede, il racconto di suo marito è contraddittorio. Sembra che sia caduto prima che gli sparassero. E' stato vago in proposito, ma pare che abbia perso l'equilibrio, che gli si sia annebbiata la vista... E il suo disorientamento attuale non corrisponde a quello tipico che segue ad una normale commozione cerebrale. Sospettiamo possa esserci dell'altro”.
    “Altro?”.
    “Non posso essere più preciso in assenza dei dati che ci forniranno gli esami. Li faremo proprio per questo. Per fugare ogni dubbio e avere risposte specifiche”. Il medico le batté una mano sulla spalla. “Vada a prendersi un caffè e ad asciugarsi. La chiamerò non appena possibile”.
    Quando se ne fu andato, lei rabbrividì, stringendosi le braccia intorno al corpo.


    La informarono intorno alle dieci di sera.
    C'era un tumore. Al cervello. Di un tipo in genere benigno. Ma era il caso di intervenire senza indugi. Avrebbero operato entro il mezzogiorno dell'indomani.
    “Oh, santo cielo, Bren...”, bisbigliò Angela. “E' incredibile”.
    Temperance inspirò ed espirò, con gli occhi che le bruciavano. “Non occorre che resti qui, Angela...”.
    “Hai lasciato la tua auto al Jeffersonian”.
    “Prenderò un taxi... Devo parlare con Booth e...”.
    “Ehi, tesoro”. Angela le accarezzò una spalla. “Fai quello che devi fare. Io sarò qui”. A lei non rimase che annuire e l'amica la contemplò con gli occhi lucidi. “Vai da lui”.
    Andare da lui...
    L'anno prima aveva lottato talmente tanto con se stessa per compiere quella scelta. Andare verso Booth. Senza difese, senza protezioni... Ora le sue gambe erano pesanti, lungo i corridoi. Il cuore un macigno che faticava a battere. Esitò, sul punto di girare l'ultimo angolo, il tempo necessario per ricomporsi, ritrovare un minimo di padronanza di sé. Un autocontrollo che minacciò di sbriciolarsi, quando lo vide, dietro la parete di vetro della sua stanza. Sembrava più giovane, con il camice ospedaliero e l'aria sperduta. Un'infermiera gli stava aggiustando una fleboclisi e lui si guardava attorno con sguardo impotente, lanciando occhiate speranzose alla porta. Aspettava lei...
    Nell'accorgersi della sua presenza, il viso gli si illuminò e Temperance sentì le ginocchia molli. Ricambiò il suo sorriso, però. E avanzò a testa alta, cercando di mostrarsi forte e serena.
    “Ciao”.
    “Ciao, Bones...”.
    L'infermiera uscì e Seeley fece una smorfia. “Bel pasticcio che ho combinato, eh?”. La sua ironia era debole, nella voce gli vibrava una nota di incertezza.
    “Starai bene, Booth. So che ti opererà uno dei chirurghi migliori dello stato”.
    “Assisterai anche tu all'intervento?”.
    “Io? Sono un'antropologa, Booth, non un chirurgo”.
    “Sei un genio”, replicò Seeley. “E per me è più che sufficiente. Se tu sarai presente, potrai accertarti che non mi riducano per errore ad un vegetale...”.
    Temperance sospirò e sedette sul bordo del letto. “D'accordo. In effetti sarei molto più a mio agio anch'io. Non credo che avrei la pazienza di attendere fuori della sala operatoria”.
    “Già”. Le loro mani si strinsero. “Io ti conosco, Bones”.
    La conosceva, sì. C'era qualcosa di struggente ed inestimabile nell'essere conosciuti tanto profondamente da qualcuno...
    “Booth... Soffrivi di emicranie? Non me l'hai detto per non inquietarmi?”, gli sussurrò.
    “No, Bones... Davvero, non ci avevo prestato attenzione. Ho avuto qualche mal di testa, forse sì, ma non immaginavo niente di tutto questo”.
    “Ok... I medici comunque mi hanno assicurato che il tumore è a uno stadio iniziale e...”.
    “L'hanno preso in tempo, lo so. L'hanno ripetuto anche a me”. Seeley chiuse un istante gli occhi, stringendole di più le mani. “Chiama Rebecca. Non credo sia il caso che Parker venga in ospedale ma mi piacerebbe almeno parlargli al telefono. Salutarlo. Potrebbe essere l'ultima volta che...”.
    “No. Non dire una cosa simile”, lo zittì Temperance.
    “Parker doveva passare il week end con noi...”, mormorò lui, fissando il vuoto.
    “Starà con te comunque”. Lei gli sfiorò il mento per incrociare i suoi occhi. “Verrà a trovarti e poi starà da noi quando sarai a casa in convalescenza”.
    “A guardare i cartoni animati e a giocare alla Play Station?”.
    “A fare ciò che vi piacerà di più. E io vi terrò compagnia”.
    Si abbracciarono. “Sarà fantastico”, bisbigliò Seeley contro la sua gola.
    “Sì”, ribatté piano Temperance. “Sarà fantastico”.



    L'indomani, l'infermiera Matheson si meravigliò del numero di persone che affollava la sala d'aspetto antistante le sale operatorie. Un giovanotto alto e magro in completo grigio camminava avanti e indietro agitato e due donne, una bruna dagli occhi lievemente a mandorla e un'autentica bellezza di colore, parlottavano in un angolo, con i volti tirati. Sulle poltroncine sedevano un uomo anziano accompagnato da un giovane in divisa. C'era anche un'altra donna di colore, un tantino corpulenta, impegnata a conversare piano con un bell'uomo di una certa età e un altro sulla trentina, con la barba. E poi due bionde, una con il braccio intorno alle spalle di un bambino, e l'altra in disparte a fissarsi le scarpe meditabonda.
    “Quanti interventi sono previsti per le undici e trenta?”, domandò incuriosita alla sua collega.
    “Solo uno”, le rispose l'infermiera Jennings. “Quello del federale con il tumore al cervello”.
    “Sono tutti qui per lui?”.
    “E c'è anche la moglie. E' una specie di dottoressa e assisterà all'operazione. Quell'uomo ha molta gente che gli vuole bene”.
    “Beato lui. Se operassero me, importerebbe giusto al mio gatto. E non gli permetterebbero neanche di entrare”.
    Le due infermiere ridacchiarono, mentre Temperance usciva da una porta e si avvicinava al gruppo. “E' pronto. Adesso mi preparerò anche io”.
    “Baderai tu a papà?”, chiese Parker. Era stato molto coraggioso, sino a quel momento. Rebecca lo cullò contro di sé.
    “Sì, baderò io a lui”, confermò Temperance. “Non lo lascerò mai solo”. Con la coda dell'occhio intravide Perotta che trasaliva, rabbuiata.
    Parker serrò la mano della madre. “Allora non avrò paura, Bones”.
    Le si formò un groppo in gola e al contempo sorrise. Parker era l'unico autorizzato ad usare il suo nomignolo, oltre a Booth. “Bravo. E poi anche tu hai qualcuno a cui badare. Devi occuparti del nonno. L'hai promesso a papà”.
    Il bambino annuì serissimo e corse da Hank e Jared, prendendo sotto braccio l'anziano bisnonno, che gli scompigliò i capelli con un sospiro stentato.
    Indietreggiando, Temperance gettò una breve occhiata a tutti i volti ansiosi che la circondavano. Angela, Cam, Jack, Sweets, Caroline... E Max, che la avvolse nel calore del suo sguardo affettuoso e calmo.
    Sospirando forte, gli volse le spalle e non guardò più nessuno.



    Le rotelle della barella producevano uno stridio fastidioso sul pavimento del corridoio che conduceva alla sala operatoria. Temperance, con il camice e la cuffia, procedeva di fianco ad essa, tenendo per mano Seeley.
    “Sono tutti convinti che tu sia mia moglie...”, le mormorò lui.
    “L'hanno dato per scontato e non volevo perdermi in chiacchiere e spiegazioni superflue”.
    “Non allarmarti, ma il suono della parola moglie associato a te mi piace. Ti turba se lo dico?”.
    “Puoi dire qualsiasi cosa, oggi”.
    “Libertà di parola?”.
    “Esatto”.
    “Bones...”. Seeley sollevò su di lei gli occhi scuri. Più grandi del solito, pervasi di inquietudine. “Se non dovessi farcela, io...”.
    “Ecco, questo invece non puoi dirlo”.
    “Mi avevi appena concesso libertà di parola”.
    “Non queste parole, Booth, ti prego”.
    Lui chiese agli infermieri di fermare la barella e di avere un minuto di intimità. Quando gli uomini si furono messi da parte, attirò Temperance a sé, costringendola dolcemente a piegarsi fin quasi a sfiorargli la fronte con la propria. “Se non dovessi farcela”, ripeté con un filo di voce, perché solo lei potesse udirlo, “io voglio che tu sappia che sei l'amore della mia vita e che questi mesi con te sono stati un dono meraviglioso. Sono felice. E ti amo, Bones. Ti amo”.
    Deglutendo, Temperance si chinò di più. “Sai che ti amo anch'io, vero, Booth?”.
    “Sì, lo so, Bones. Per questo sono felice”.
    “Sarai felice ancora a lungo, Booth. Lo saremo insieme”.
    Lo baciò con delicatezza, gli occhi chiusi, in un istante solo per loro.
    Poi Seeley alzò una mano e gli infermieri ripresero a spingere la barella.
    In fondo al corridoio li attendeva una doppia porta dipinta di bianco.
    Una porta sull'ignoto.
    L'avrebbero varcata fianco a fianco.

    (CONTINUA!!)

    Edited by Dreamhunter - 22/9/2010, 14:02
     
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  5. Chris.Tag
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    CITAZIONE
    In fondo al corridoio li attendeva una doppia porta dipinta di bianco.
    Una porta sull'ignoto.
    L'avrebbero varcata fianco a fianco.

    Adoro questa immagine! :wub:
    Essere fianco a fianco è nella loro natura, così come affrontare qualsiasi cosa, anche l'ignoto, purchè insieme ...
     
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  6. boothie
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    OH Franca! Che bello questo capitolo, con il finale delle 4° stagione che si innesta perfettamente all'interno della tua storia.
    Non vedo l'ora di leggere il resto....
     
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    la personificazione di BONES

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    Capitolo bellissimo, sono arrivata alla fine con i lucciconi *__*
    spero che il prossimo arrivi presto, perchè sono curiosa di vedere come unirai le info della serie alla tua storia.
    bravissima come sempre! :wub:
     
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  8. Ciccia-B
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    Franca quanta dolcezza,e allo stesso tempo ansia, trasmette questo capitolo!!! Davvero stupendo!! Ora ti prego non farci aspettare molto per il seguito!!!! ^_^
     
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    Ti adoro Franca, te l'avevo mai detto?
    Sono così veri che mi è sembrato di rivederli sullo schermo in una delle scene più meravigliose di tutto il telefilm
    CITAZIONE
    Sembrava più giovane, con il camice ospedaliero e l'aria sperduta. Un'infermiera gli stava aggiustando una fleboclisi e lui si guardava attorno con sguardo impotente, lanciando occhiate speranzose alla porta. Aspettava lei...
    Nell'accorgersi della sua presenza, il viso gli si illuminò e Temperance sentì le ginocchia molli. Ricambiò il suo sorriso, però. E avanzò a testa alta, cercando di mostrarsi forte e serena.

    I loved it. image
     
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  10. Rob 89
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    Bravissima Franca, quante emozioni che ci hai fatto vivere in questi ultimi capitoli!
     
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  11. Dreamhunter
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    Grazie a tutte per i commenti!!! ^_^
    Eccovi il nuovo capitolo, il primo della quarta ed ultima parte. Buona lettura!!! ^_^


    PARTE QUARTA

    CAPITOLO XXII

    “Signora? Signora?”.
    Qualcuno le stava parlando piano, in un sussurro gentile. Temperance sbatté le palpebre, con la testa appesantita dal sonno, ma fu solo questione di un attimo. Poi, come accadeva sempre, ultimamente, si svegliò di colpo e la sua coscienza passò nella frazione di un secondo dall’oblio alla lucidità. Nell’immediato riconobbe la stanza d’ospedale, le luci basse, le pareti opprimenti.
    “Che c’è?”, mormorò. “Si è svegliato?”.
    “No…”, le rispose rammaricata la giovane infermiera. “Ma si era addormentata in una brutta posizione, stava per scivolare giù dalla poltrona… Ho pensato che…”.
    “La ringrazio…”. Lei si risistemò. “Che ore sono?”.
    “Quasi le cinque del pomeriggio, signora”.
    “Grazie”, ripeté Temperance distratta, alzandosi. Di lì a poco sarebbe arrivato Parker… Si avvicinò al letto di Booth. In lui non era cambiato nulla. Gli occhi erano chiusi, il corpo immobile, il respiro regolare. Andava avanti così da tre giorni ormai.
    L’intervento era andato tecnicamente bene e il tumore era stato rimosso, ma sembrava che ci fossero stati problemi con l’anestesia e da allora Booth giaceva in coma. Tre giorni…
    Più passava il tempo, più aumentavano i rischi di danni permanenti.
    Sentendo i passi dell’infermiera allontanarsi, lei gli carezzò la guancia ispida di barba, soffermandosi con le dita sulla curva delle sue labbra. Quella mattina dall’angolo di un occhio di lui era scesa una lacrima. Un riflesso involontario, niente di più, Temperance lo sapeva, ma aveva comunque dovuto andare a piangere in bagno. Soltanto per cinque minuti, per alleggerire il senso di costrizione al petto.
    Booth, per favore, combatti. Svegliati. Ritorna.
    Il suono di scarpette che correvano rieccheggiò nel corridoio. Subito una voce burbera brontolò un sommesso “Parker, non si corre!!! Qui c’è gente malata!”. Il rumore della corsa si acquietò e Parker fece il suo ingresso nella camera con atteggiamento compito ed educato, tradito soltanto dal leggero fiatone. La speranza infantile nei suoi occhi si spense non appena vide che lo stato del padre era identico a quello del giorno prima. Temperance provò una piccola fitta allo stomaco e gli tese la mano. “Vieni”, lo invitò e lo aiutò a sedersi sulla sponda del letto. Il bambino la sbirciò curioso.
    “Posso davvero? Ieri l’infermiera mi ha sgridato…”.
    “Ho parlato con il dottore e mi ha detto che hai il permesso. Pensa che la tua vicinanza possa aiutare papà”.
    “Sul serio?”. Un sorriso luminoso comparve sul faccino rabbuiato di Parker. “Allora se lo tocco e lo accarezzo forse si sveglia?”.
    “Può darsi. Vale la pena di provarci. E parlagli”.
    “Gli racconto di quello che abbiamo fatto oggi a scuola?”.
    “Sì. E’ una buona idea…”. Temperance si accinse a voltarsi, poi aggrottò la fronte e tornò a rivolgersi al bimbo. “Però… Parker, se papà non si sveglia, oggi, non pensare che sia per colpa tua, d’accordo?”.
    Parker annuì gravemente. E quando lei si girò, incontro lo sguardo d’approvazione di Hank, in piedi sulla porta. “Hai detto la cosa giusta, tesoro”, commentò pacato.
    Per qualche motivo quelle parole la riscaldarono ed istintivamente guardò la figura esanime di Booth. Chissà come avrebbe reagito lui nel sentirla dire la cosa giusta a suo figlio. Immaginò che le avrebbe sorriso orgoglioso.
    Il suo sorriso di colpo le mancò tanto da far male.
    Si volse di nuovo verso Hank e lo raggiunse sulla porta. “Sto imparando. I bambini hanno una sensibilità peculiare”.
    “Ce l’hai anche tu. Forse non te ne sei mai accorta”, replicò Hank con dolcezza. “Mio nipote invece sì”.
    Temperance lo fissò. Nonostante gli occhi azzurri e le spalle incurvate dall’età, trovava che assomigliasse molto a Booth. Avevano lo stesso viso pieno di carattere, la stessa aria forte e protettiva, con una sfumatura di intima fragilità che dava loro umanità e calore.
    “Tuo nipote, Hank, si accorge spesso di cose che io non noto”.
    “E viceversa, mia cara. E’ per questo che si sta in coppia. Per aiutare l’altro a vedere qualcosa in più del mondo”. Il vecchio le batté una mano su un braccio e andò a sedersi nella poltrona in cui lei si era addormentata. “Oggi le gambe mi reggono poco…”. Sospirò. “Non sono gli anni ad indebolirmi, sai. E’ vederlo così. Il mio povero ragazzo che non si muove”.
    “Già. Lui si muove sempre”, sussurrò Temperance. “Anche quando dorme. Tira calci”.
    Lo fece sorridere. “Tirava calci anche da ragazzino. In campeggio, nella tenda, non si riusciva a riposare con lui che si dimenava come un mulino a vento”. Hank lo raccontò rimirando Seeley con un lungo sguardo carico di affetto e tenerezza.
    “Chi vi ha accompagnati?”, domandò Temperance. Per cambiare discorso. D’un tratto l’idea di Booth ragazzino in vacanza con il nonno la metteva a disagio, opprimendole il respiro. Non c’era conforto in quel ricordo, per lei, solo la consapevolezza di giorni trascorsi. Giorni in cui non faceva nemmeno parte della vita di lui. In cui non sapeva neppure della sua esistenza.
    “Rebecca”, rispose Hank. “Ci ha accompagnati Rebecca. Ma aveva un impegno di lavoro. Non poteva fermarsi. Verrà a riprenderci più tardi. E’ gentile, sai? Non ci siamo mai piaciuti molto lei ed io, ma adesso riusciamo persino a chiacchierare… E anche Jared è molto premuroso, pur con tutte le divergenze che hanno avuto lui e suo fratello. So che passa di qui almeno due o tre volte al giorno…”.
    “Sì, è vero”, confermò lei. “A causa del nostro lavoro ho potuto osservare che il dolore e la paura in genere uniscono o dividono. Apparentemente non c’è una via di mezzo. Nel nostro caso ci hanno uniti”.
    “Non credo proprio, tesoro”, obbiettò Hank, con un lieve sorriso. “Non si tratta di dolore e paura. E’ amore”. Indicò Booth. “L’amore per lui”.
    Temperance deglutì a fatica. “Io…”. Non trovò nulla da ribattere. Era a corto di parole. Non ne aveva mai di adeguate quando si trattava dell’amore per Booth. Hank annuì, come se le stesse leggendo dentro. Doveva essere una caratteristica genetica della famiglia.
    “Vai a prenderti qualcosa al bar, cara”, le propose. “Scommetto che anche oggi ti sei scordata di pranzare… Parker ed io ce la caveremo bene da soli”.
    “D’accordo, sì… In effetti, ho fame”.
    Lasciò la stanza con una certa fretta e gli occhi che pizzicavano. In realtà non aveva molta fame, ma ogni giorno si sforzava di mangiare il necessario per mantenersi in piedi. Beveva poco caffè, peraltro. Il caffè senza Booth di fronte le pareva sempre amaro, anche se aggiungeva più zucchero…
    Quando giunse al piano inferiore, comunque, l’appetito le passò del tutto. In fondo a un corridoio c’era Andrew Hacker che le veniva incontro, con la sua fronte troppo alta e il suo sorriso più mellifluo.


    Con un bicchiere di caffè tra le mani, Cam sedette in una delle poltroncine sulla piattaforma superiore del laboratorio e allungò i piedi in avanti, ruotando le caviglie e studiandosi critica le scarpe. Al livello inferiore, gli assistenti in camice blu si affaccendavano come tanti api operaie intorno alle varie postazioni. Osservandoli dall’alto, lei si sentì di colpo stanca. Aveva una gran voglia di tornare a casa da Michelle. Non aveva ancora portato tutta la sua roba nel suo appartamento e presto la casa di Andrew sarebbe stata messa in vendita, ma dormiva da lei. Si sentiva più sicura. A volte parlavano per serate intere, in altri momenti restavano in silenzio per ore, ma era bello in entrambi i casi. Emozionante.
    “Ehi…”.
    Non si girò. Sapeva che lui l’avrebbe raggiunta lassù, se lo aspettava.
    “Ciao, Jack”.
    “Hai telefonato all’ospedale?”.
    Jack rimase in piedi, con una mano nella tasca dei jeans.
    “Dieci minuti fa. Brennan aveva visite. C’era il capo di Booth con lei”.
    “E…?”.
    “Non si è svegliato, no. Tutto è come al solito”.
    “Accidenti”. Gli occhi blu di lui indugiarono sul suo volto. “Le cose cambiano talmente all’improvviso, vero?”.
    “Chissà perché è così facile scordarlo…”.
    “Potrebbe essere anche altrettanto facile ricominciare…”.
    Cam si massaggiò una tempia. “Lo sapevi che Angela ha troncato con Roxy?”.
    “No… Perché me lo stai dicendo?”.
    “Perché forse potrebbe essere facile ricominciare con lei”.
    “Non amo più Angela”, replicò pacato lui, fissandola fermamente. “Sono innamorato di te”.
    “Mi dispiace, Jack”. Cam si alzò. “E’ una questione di scelte, non di sentimenti”.
    Gli diede il suo caffè, neppure toccato, e si diresse alle scale. Ora il bisogno di correre a casa era diventato pura urgenza.



    “Al Bureau siamo tutti molto in ansia, dottoressa Brennan”, le sorrise Hacker, seduto nel posto che di norma, in un qualsiasi locale, sarebbe stato di Booth. Il confronto era quasi insopportabile per Temperance. “L’agente Booth è uno dei nostri migliori elementi. Ci auguriamo che si riprenda al più presto”.
    “Me lo auguro anche io…”, ribatté asciutta lei, sbocconcellando un’insalata priva di sapore.
    “Se posso fare qualcosa per esserle d’aiuto, dottoressa…”.
    Temperance lo scrutò a lungo prima di rispondere. Era stanca e non aveva granché voglia di discutere con chiunque, ma... Quella poteva essere l'occasione giusta per affrontare l'argomento che le occupava una porzione considerevole della mente sin dalla sera dell' incidente di Booth. Pensarci la proiettava nel futuro e le dava forza. Quindi... perché no?
    “In effetti, sì, vicedirettore. Potrebbe essermi molto d'aiuto”.
    L'uomo raddrizzò le spalle, contento. “Mi dica. Sono a sua disposizione”.
    “Voglio essere di nuovo la partner di Booth”.
    L'espressione di Hacker cambiò. “Mi scusi?”.
    “Ha capito perfettamente. Quando Booth starà meglio e tornerà al lavoro, voglio sostituire l'agente Perotta ed essere di nuovo la sua partner in pianta stabile”.
    “Dottoressa... Lei sa già che questo non è...”.
    “Non è possibile perché siamo legati nella vita privata e questo potrebbe compromettere le nostre valutazioni del pericolo nelle azioni sul campo?”, lo interruppe lei freddamente. “Le rammento che non sono stata io a lasciare solo Booth in una situazione pericolosa, vicedirettore. Io non mi sarei mai allontanata da Booth abbandonandolo senza una copertura. Se avessi sentito un rumore sospetto, io avrei avvertito Booth e avremmo deciso insieme come agire. Abbiamo rischiato la vita diverse volte, durante il nostro lavoro, ma nessuno dei due ha mai abbandonato l'altro”.
    “L'agente Perotta è già stata ammonita per la leggerezza che ha...”.
    Di nuovo Hacker venne zittito. “La leggerezza?! Dunque, se Booth fosse morto lei l'avrebbe giudicato l'effetto collaterale di una leggerezza?”. Temperance allontanò l'insalata, infastidita. “Voglio lavorare con il mio compagno, vicedirettore. Se non ci sarà permesso di lavorare ancora insieme anche sul campo, io interromperò il mio sodalizio con l'FBI e chiederò anche a Booth di prendersi un periodo di aspettativa. Sono certa che con le giuste motivazioni lui potrebbe considerare seriamente la possibilità. Il Bureau correrà il pericolo di perdere in un colpo solo i suoi due collaboratori migliori. Ci rifletta. Ora...”. Si alzò. “... se non le dispiace, devo tornare da Booth”.
    Hacker rimase in silenzio, seduto da solo al tavolino, davanti all'insalata. Santo cielo, che donna... Peccato davvero che non avesse avuto l'opportunità di conoscerla meglio.



    In serata, una mano si posò sulla spalla di Temperance, mentre lei, rannicchiata in poltrona, leggeva un libro. O meglio, lo teneva aperto in grembo, scorrendo senza vederle le parole stampate sulla carta. Era stata una giornata lunga. Anche Angela aveva fatto un salto. Cam e Sweets sarebbero venuti il pomeriggio seguente. Jack passava sempre il mattino presto, prima di andare al Jeffersonian. E Caroline telefonava spesso.
    C'era soltanto una persona, invece, che sceglieva la sera inoltrata per le sue visite... Gli infermieri sapevano chi era e lo lasciavano passare.
    “Ciao, papà”.
    “Ciao, Tempe”.
    Max non chiese come andassero le cose e semplicemente si avvicinò a Seeley, con le mani in tasca, guardandolo con un vago sorriso. “Ciao, Booth”, aggiunse, poi guardò la figlia. “Come stai?”.
    “Io? Io...”. Temperance sospirò. “Io non sono in coma”.
    “Bella risposta”.
    “Non ho risposte, in questi giorni, papà”.
    “Non te ne sto chiedendo, piccola. So come ci si sente”.
    “Ti... sei sentito così quando la mamma è...”. Temperance si interruppe. “Non credo che dobbiamo parlarne davanti a lui. Secondo molte ricerche accreditate i pazienti nello stato comatoso possono in certi casi percepire ciò che accade loro intorno”.
    “Lo so, cara, lo so”, le sorrise dolcemente Max. “Dobbiamo pensare al momento in cui Booth si sveglierà... Forse gli piacerebbe che qualcuno lo radesse”.
    Lei inarcò un sopracciglio. “Cosa?”.
    “La barba gli sta diventando lunga...”. L'uomo si chinò sulla figlia e le prese le mani, in una stretta affettuosa. “Prenditi cura di lui”, le suggerì. “Anche in questo semplice modo. Se può avvertire la tua presenza, lo gradirà”.
    Le baciò le mani unite e Temperance chiuse un'istante gli occhi. In momenti come quello era particolarmente bello aver ritrovato suo padre.



    Lo fece la mattina seguente. Optò per la schiuma da barba e la lametta. Le pareva più rilassante del rasoio elettrico. Più fisico. Necessitava di un contatto con Booth, di concentrarsi sul suo corpo, sul suo calore. Si dedicò all'opera con lo stesso puntiglioso impegno che riservava allo studio delle ossa, passando con attenzione su ogni curva e ogni particolare del volto di lui. Non ebbe fretta, si mosse lenta. Alla fine fu orgogliosa di non averlo tagliato. Lo ripulì dai residui di schiuma con una salvietta umida, poi gli spalmò sulle guance una crema emolliente all'aloe e si concentrò a lungo in un massaggio a cerchi concentrici. Era dolce sentire il suo tepore sotto le dita.
    Svegliati...
    Ti prego, svegliati...

    Si chinò e lo baciò sulla fronte, appena sotto il limite del bendaggio che gli fasciava la testa. Rimase così per un po', con le labbra premute sulla sua pelle, avvolta dal profumo di aloe.
    “E' la tua crema...”.
    La voce di Booth... La stava immaginando?
    Desiderava a tal punto di poterla udire da arrivare a sentirla?
    Il volto sotto la sua bocca si mosse. “Bones...”.
    LA VOCE DI BOOTH!!!
    Temperance si tirò su di scatto e incontrò gli occhi scuri e aperti di lui, appannati ma presenti.
    “Booth...”.
    “Perché mi hai messo in faccia la tua crema?”, biascicò Seeley. “E' da donna...”.



    Varcata la soglia del proprio ufficio, Cam gettò la borsa sulla scrivania, massaggiandosi la nuca. Non aveva dormito bene. Troppi pensieri. Aveva parlato a lungo con Michelle la notte prima. Alla fine il sonno si era del tutto dissolto e non aveva più avuta alcuna possibilità di abbandonare la mente e rilassarsi.
    Era preoccupata per Booth. E non riusciva ad evitare di sentire la mancanza di Jack. Di rievocare nei momenti meno opportuni il modo pacato, diretto, sereno in cui le aveva detto di amarla...
    Ah, che stupida...
    “Jack... Jack...”, mormorò tra sé. “Esci dalla mia testa, per favore...”.
    “E io che speravo di essere dentro il suo cuore...”.
    Lei si lasciò sfuggire un piccolo gridolino di sorpresa e spavento e ruotò di novanta di gradi, scoprendo Jack che la contemplava a braccia conserte dalla soglia. I suoi occhi erano intensamente blu.
    “Cosa... cosa ci fai qui, a quest'ora? E' prestissimo...”.
    “Sono stato in ospedale”. Lui fece una pausa, fissandola. Poi sorrise. “Booth si è svegliato, una mezz'ora fa”. Il sorriso si accentuò. “E' un po' spaesato, ma pare proprio che stia bene”.
    Cam si portò le mani alla bocca, quindi non resistette e si lanciò in avanti, gettando le braccia al collo di Jack. “Oddio, meno male!!! Sono felice!”.
    Si strinsero forte, più a lungo del dovuto, e le dita di lei si insinuarono tra i riccioli di Jack. Erano morbidi e odoravano di shampoo... Stava per approfondire la carezza, quando vide un gruppo di assistenti entrare nel laboratorio. Di scatto si ritrasse e indietreggiò.
    “Scusa”, borbottò, rassettandosi l'abito.
    “Di che cosa ti stai scusando?”, mormorò lui. “A me è piaciuto...”.
    “Beh, io ero solo contenta perché...”. Tra le persone che arrivavano al Jeffersonian, Cam individuò Angela, anche lei pallida e con l'aria poco riposata. “Angela!! Bisogna dirlo ad Angela!!”.
    Ed uscì in fretta dall'ufficio, lasciando Jack dietro di sé, a guardarla con il cuore che batteva forte.

    (CONTINUA...) :ibones:

     
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  12. boothie
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    Grazei Franca, non vedevo l'ora che questo racconto riprendesse... certo che hai fatto gli straordinari: il bellissimo video di qualche giorno fa, questo racconto, La forza e la temperanza... così andrà a finire che ci vizierai!!!! :clap:
     
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  13. Ciccia-B
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    Evvivaaaaaaaaaaa :clap: finalmente si è svegliato e poi anche Bones ha chiarito le cose con fronte e precipizio Andrew!!! Franca capitolo super bello, lei che lo rade dolcemente, che parla a Parker dicendogli la cosa giusta, emozioni dolcissime e forti!! Complimentissimi!!! E ora a presto col prossimo capitolo!!!!!^_^ :wub:

    Edited by Ciccia-B - 12/10/2010, 15:15
     
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    la personificazione di BONES

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    Come sempre un capitolo piacevole.
    E' bello vedere l'amore della gente che ti vuol bene.
    e la battuta sulla crema è così da booth!
    Bel avoro^^
     
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    Squintern

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    Perchè per Temperance ammettere che ama Booth sopra ogni cosa dev'essere così difficile?
    Eppure glielo dimostra in ogni modo.
    Bellissimo capitolo Franca, al prossimo.
     
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362 replies since 12/9/2008, 01:49   36343 views
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