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Come diceva la mia mamma, finalmente, un episodio “come Cristo comanda!”. Episodio bello, intenso, nel quale i diversi livelli si incrociano e si supportano, venendo a formare un unicum grazie al quale ci viene ricordata la dimensione valoriale della series, quella che le dà spessore e profondità e le impedisce di ridursi a soap, d’alto livello, ma pur sempre una soap. Molti sono gli spunti, il tema della giustizia “ingiusta”, in cui viene adombrato il continuo incontro/scontro tra la giustizia in senso morale (lo iustum) e quella in senso legale (lo iussum), la specificità del diritto, le sue regole, le sue procedure, il suo essere formale, che si converte per ciò stesso nel suo essere sostanziale, la dimensione del processo penale che di per se stesso richiede l’estraniarsi dalla passionalità e dell’emotività dei sentimenti per approdare all’oggettività delle prove nella ricerca della verità attraverso cui realizzare la giustizia. Applicando le leggi, che, in quanto leggi degli uomini, saranno sempre imperfette, ma che nella loro imperfezione sono l’unico argine all’esplodere della violenza, al bellum contra omnes e al homine homini lupus (la guerra di ciascuno contro tutti e viceversa). Imperfezione di cui il grande giurista Holmes, giudice della Corte Suprema degli USA e esponente del realismo americano, era pienamente consapevole, non per niente a chi gli chiedeva se il compito dei tribunali era quello di realizzare la giustizia, rispondeva che nei tribunali si applicano le leggi …. Altro tema portante dell’episodio è il cosiddetto principio “dell’al di là del ragionevole dubbio”, cui si può riallacciare il nostro “in dubio pro reo”, ossia, come una volta, ai miei tempi di studentato in Giurisprudenza, si affermava che di fronte all’incertezza era meglio un colpevole fuori che un innocente in prigione. Ma … erano i tempi in cui esisteva ancora una civiltà del diritto. Per quanto riguarda il ragionevole dubbio ne abbiamo parlato in maniera estesa durante la terza stagione in riferimento all’episodio in cui Max veniva processato, per cui non ci tornerò sopra (chi fosse interessato, può recuperare il tutto sul forum). Per quanto riguarda l’interazione tra Brennan e Booth siamo messi di fronte a uno dei fondamentali della series: l’essere Brennan, paladina della verità (scienza) e Booth, alfiere della giustizia (umanesimo), filo conduttore dell’intera series. Mi è piaciuto molto che gli autori abbiano sentito l’esigenza di ribadire questi modi d’essere dei due personaggi. In effetti, in questo episodio viene tutto confermato (continuità), ma, al tempo stesso, ci viene fatto verificare come tutto sia cambiato, maturato, approfondito (discontinuità). Sono loro, sono, al tempo stesso, uguali e diversissimi, sono moglie e marito, con tutto ciò che questo comporta dal punto di vista della responsabilità reciproca, nei confronti della figlia (ma anche di Parker) e di tutti gli altri. L’epoca del corteggiamento (perché, come attestato dalle promesse scambiatesi, questi due si sono corteggiati sempre, sia quando si rincorrevano, sia quando fuggivano) è finita, non c’è niente da fare, è proprio finita. La promessa del futuro, di una vita a due stabile, che cosa comporterà? Ai posteri l’ardua sentenza. Anche se già adesso una serie di considerazioni sarebbe possibile sviluppare, non vado oltre, perché desidero vedere come tutto questo verrà sviluppato dal gatto e la volpe, ma anche, perché, avendo cambiato gli occhiali, mi devo ancora abituare alla nuova gradazione e devo stare attenta a non sforzare la vista. Arrivederci alla prossima occasione.
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