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Grazie alle repliche che si stanno svolgendo sia sul Digitale che sulla Pay, ho avuto una piccola, piccolissima ispirazione, quella di fare un collegamento tra Sweets e Zach. Riflettendoci un pochino sopra non mi è sembrata tanto peregrina, per cui su di essa ho impostato il commento. A dirla tutta, lo spunto vero e proprio mi è venuto da Booth, quando dopo il primo colloquio con Sweets si ferma appoggiato alla macchina e resta fermo a riflettere. È ovvio che sta seguendo un suo ragionamento, che sta prendendo atto di qualcosa che gli è affiorata alla mente e quando sale in macchina ha preso una decisione, ha fatto una scelta: tampinerà per tutto l’episodio Sweets. Ha un motivo molto valido, l’indagine sul caso, ma, è chiaro, non è solo per quello, sta facendo, non dandola a vedere, una delle cose che gli riescono meglio, quando è stato di grazia (perché, quando toppa, Dio ce ne scappi e liberi), ossia, si prende cura, protegge l’altro, lo rispetta e gli dà fiducia (il lasciarlo solo nell’interrogatorio risolutivo), insomma, lo tiene sotto la sua ala protettiva. Colto questo aspetto, il pensiero mi è andato all’episodio conclusivo della terza stagione, all’episodio in cui si scopre che è Zach il discepolo di Gormogon, e nello specifico alla scena finale, quando tutti sono insieme quasi per una veglia funebre e Booth si rammarica: “l’ho lasciato solo, non l’ho seguito, non mi sono preso cura di lui”. Ecco, cinque anni dopo, in questo inizio di stagione per me molto bello, intenso e ricco di sentimenti, Booth dimostra che il rimorso non è stato vano e non molla Sweets, il fratellino più piccolo, non desiderato e non cercato, ma adesso che è presente nella sua vita, alla fine (molto, molto alla fine) riconosce con sé e con gli altri di volergli bene. Come gli vogliono bene tutti gli altri, Brennan, addirittura, per incoraggiare Sweets si sforza di riconoscere che alla fin fine la psicologia può avere una sua utitilà. O tempora, o mores! Ma il parallelo tra Sweets e Zach ha altre affinità: ambedue si trovano in un momento di svolta, devono crescere e maturare interiormente, diventare uomini adulti e responsabili, in grado d’affrontare la vita, devono abbandonare le protezioni dell’FBI per il primo e del Jeffersonian per il secondo, le sicurezze, i due “uteri” che li hanno accolti, in cui, da un certo punto di vista, hanno avuto tutto, gli affetti, le amicizie, lavori splendidi e gratificanti, ma in cui sono incompiuti. Sweets, che è stato salvato dall’amore dei genitori adottivi, sente che è arrivato il momento in cui quest’amore non può più egoisticamente tenerselo per sé, ma deve condividerlo con gli altri, andare a cercare chi è stato meno fortunato di lui e tendere la mano. Zach, che, al contrario di Sweets, proveniva da una famigliona numerosa e felice, doveva verificare, se poteva dare spazio dentro di sé a qualcosa d’altro oltre la scienza. In fondo, l’invito degli psicologi dell’esercito a verificare come e perché il suo habitat potesse essere solo il Jeffersonian, non era poi tanto peregrino. Esiste un ulteriore punto di contatto: sono ambedue sotto minaccia di un serial killer, ma Sweets, andando via, si sottrae e come Brennan e Cam, pur piegato e ferito, conserva la sua libertà o la riconquista, Zach, invece, ha risposto, è rimasto affascinato e si è fatto catturare. Sweets fa una scelta per la vita, Zach per la morte. Mi fermo qui, non desidero dilungarmi troppo. Ma un’ultima annotazione devo farla: Pelant, nella sua psicopatologia spinta al delirio d’onnipotenza estremo, ha cercato in tutti i modi di dominare i nostri, ma, nonostante tutte le apparenze, non li ha catturati in senso psicologico e morale (rimane sospesa la questione di Angela, ma vedremo), anzi, si può ben dire, che ciascuno di loro sia individualmente che collettivamente è diventato migliore, ha risposto secondo il suo carattere e la sua natura, ma la prova, il dolore, il rischio della vita e/o della libertà dii coscienza, il vivere schiacciati nel “timore e nel tremore” di una realtà alla Grande Fratello o a Le vite degli altri, gli esempi paradigmatici (l’uno letterario, l’altro cinematografico), che mi vengono attualmente in mente per descrivere il regime totalitario, non li ha uccisi, sono stati provati, ma non sconfitti, anzi sono diventati migliori. E come sempre, detto alla romana: Pelant, tiè! Come mi piacerebbe poter dire lo stesso per tutti quelli di cui Pelant è simbolo e metafora!
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