8x18 The Survivor in the Soap
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8x18 The Survivor in the Soap

5.03.2013 discussione versione originale

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  1. sella
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    Nel guardare la scena notturna, quella che per me illumina tutto l’episodio, in cui una Brennan, angosciata e insonne nel ricostruire attraverso le fotografie il filo della memoria delle tante atrocità con cui è venuta in contatto con il suo impegno di scienziata, si pone con infinito dolore l’interrogativo morale: perché non ho reagito? perché non sono intervenuta? perché non ho fatto nulla?, mi è venuto alla mente un altro momento in cui ha vissuto qualcosa di simile, ossia, la scena finale di 8x06. In ambedue Brennan prende coscienza di quello che ritiene una sua inadeguatezza e da qui il suo rimpianto (se non addirittura rimorso) per l’asetticità professionale, l’oggettività da scienziata, da lei usate come vere e proprie paratie stagne per evitare ogni coinvolgimento di tipo emozionale. La Brennan dell’ottava stagione, la Brennan con un cuore che ormai sa sanguinare, la Brennan che ha fatto passi giganteschi nella sua “discesa” fra gli umani si chiede come sia mai stato possibile tutto questo e pur potendosi rispondere e di fatto assolvere, non ci riesce. Sta vivendo uno dei momenti topici, di cui facciamo tutti esperienza, quando all’improvviso, per le cause più varie, è come se il velo della coscienza si squarciasse e, stupefatti e atterriti, vediamo e capiamo qualcosa che fino ad allora ci è rimasto oscuro e cui avevamo dato risposte completamente differenti. È il momento della verità, che si fa presente a noi in tutta la sua terribilità e che ci schiaccia. Di fronte a queste prese di coscienza abbiamo due modalità, o ci volgiamo al passato, rinchiudendoci in noi stessi, molte volte risucchiati nella spirale del senso di colpa sterile e frustrante al tempo stesso, nello sforzo continuo della rimozione, oppure ci volgiamo al futuro, facendo nostra (abbracciandola) la nostra strutturale imperfezione umana (in linguaggio cristiano, la nostra condizione di peccatori), traendone insegnamento e lasciandoci guidare da questa presa di coscienza. In ogni caso, un ruolo fondamentale nel processo di conoscenza di sé lo svolge l’altro, perché nel nostro essere ontologicamente dialogici abbiamo bisogno del suo aiuto e del suo sostegno, come dell’aria che respiriamo. In fondo, la grande differenza tra la Brennan delle Torri gemelle e la Brennan attuale è che la prima non aveva vicino a sé Booth (insieme con tutti gli altri, in primis Christine, è ovvio). Ora, lui è lì e lei si può rivolgere a lui, può condividere con lui la sua paura, la sua desolazione e la sua indignazione. Booth è il “didò”, l’amico, è “l’amato del suo cuore” del Cantico dei Cantici e così Brennan non cade preda della solitudine, e può riconoscere che la sua vita è visitata da questa presenza amica, fonte di consolazione infinita. Solo che fra le due situazioni è una grande differenza, nella prima, nel racconto di quanto avvenuto subito dopo l’attentato dell’11/9, Booth ha solo il ruolo di colui che ascolta e di colui che conforta, prendendola fra le sue braccia. In questo episodio, Booth è in una situazione profondamente diversa, viene coinvolto nel dilemma che scuote Brennan, è la sua storia, il suo essere stato soldato e cecchino a riemergere attraverso la richiesta d’aiuto di Brennan, la quale lo sta toccando in un punto delicatissimo, in una ferita profonda, come ben sappiamo. Alla sofferenza di Brennan così si unisce quella di Booth e attraverso questa comune esperienza sperimentano per l’ennesima volta una grandissima verità, ossia, che non c’è nulla che unisca di più gli esseri umani che la condivisione delle loro esperienze di dolore, cui l’arrivo di Sweets viene a assicurare la necessaria apertura al mondo (cfr. a questo riguardo 6x16). Solo attraverso questo con-sentire riescono a rilanciare la loro indagine, a trovare il bandolo della matassa che li porterà a risolvere il caso. E questo è veramente bello: il dolore diventa fonte di vita. La Brennan post 8x15, grazie proprio a quanto vissuto nell’incontro con la madre e con il sostegno di Booth può assumere il suo dolore e progredire nella sua umanità, in breve, crescere. Lo scandalo e il senso della profonda ingiustizia non alimentano prese di posizione ideologiche, verbalizzazioni fine a se stesse, ma nutrono di sé le sue scelte (come quelle degli altri), così un criminale di guerra (un mostro) finalmente verrà catturato. Arrivata a questo punto, mi devo ripetere, ma lo confesso, lo faccio con piacere, perché, ancora una volta, bisogna riconoscere che tra i tanti elementi che stanno rendendo veramente interessante questa stagione è lo scavo, l’approfondimento e il conseguente arricchimento dei personaggi, delle loro personalità in conseguenza del costante lavorio del quotidiano oppure per gli avvenimenti eclatanti nella loro tensione drammatica, costruito con piccoli accorgimenti, con sottili sfumature e scarti apparentemente minimi, ma che inquadrati nel contesto generale della series assumono rilevanza tutta particolare. Il gatto e la volpe ci stanno raccontando come nella vita non si sia mai fermi, ma si cambi (in meglio o in peggio a seconda dei casi, è ovvio) e in questo cambiamento, in questo evolversi nella reciprocità e grazie ad essa trovino sempre più alimento e ragione di vita sia l’amicizia (fra tutti loro) che l’amore (fra le diverse coppie).
     
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9 replies since 9/1/2013, 09:29   702 views
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