8x06 The Patriot in the Purgatory
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8x06 The Patriot in the Purgatory

12/11/2012 discussione versione originale (episodio extra)

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  1. sella
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    Episodio folgorante, esempio magistrale di come uno script ben concepito (Nathan ha superato se stesso) e un gruppo di attori al massimo delle loro potenzialità (onore al merito agli “attor giovani” chiamati a dar prova di sé e della loro bravura) siano in grado di realizzare. Senza “azione”, in fondo si è portato in una series il cosiddetto “teatro da camera”, perché tutto si svolge in interni, comprese le conversazioni al Diner e l’incontro tra Booth e l’ufficiale, in una povertà di gesti degna di nota, 8x06 è un limpido esempio di ciò che la parola sia in grado di fare, di suscitare e di evocare, di come può ferire e di come può sanare. Non c’è niente di più umano della parola nel senso più completo del termine. Un momento di grandissima televisione, che trova la sua forza dal e nel teatro, il nuovo e l’antico uniti insieme, fusi in una sinergia degna di nota. Una “vera perla”, come ha scritto Romina. Bones ai suoi vertici, non per niente un episodio simile inserito in un’altra series, una di quelle gradite alla “critica” con la puzza sotto il naso o fatta da persone ben ammanigliate nelle diverse consorterie dello spettacolo statunitense, sarebbe premiato in ogni modo possibile. Così non sarà (se per un’eventualità strabiliante dovessi essere smentita, sarei la persona più felice al mondo nel riconoscere d’aver toppato nella mia previsione), ma peggio per loro, perderanno una grande occasione, quella di riconoscere e portare all’attenzione più di quanto non sia una series che sa scavare nei cuori, sa comunicare emozioni, suscitare sentimenti, in una parola, sa comunicare e portare le persone a riflettere, forse a conoscere meglio se stesse e così portarle alla verità di sé, come attestato tutti gli interventi precedenti. Il che non mi sembra veramente poco. In questo sono perfettamente d’accordo con quanto scritto in precedenza da Marta e da Teresa.

    Il mio 11/9. Mi stavo preparando, dovevo uscire, avevo la televisione accesa su Rai2. All’improvviso la trasmissione fu interrotta e ancor prima di qualsiasi parola, apparve l’inquadratura delle torri gemelle e del primo aereo che esplodeva. Fu uno shock, rimasi immobile nella stanza e, come mi capita, in situazioni particolarmente difficili, il mio cervello si mise automaticamente in “pausa”. Mi ricordo che andai dalla dottoressa, feci quello che dovevo fare, persino la spesa al supermercato, non sentivo e non provavo niente. Tornata a casa, riaccesi il televisore, così venni a sapere degli altri attentati, vidi scene terribili e raccapriccianti (quei poveri corpi che volavano dalle finestre), mi sentii schiacciata, annichilita, il dolore esplose dentro di me, piansi a dirotto, per le vittime, per i loro famigliari, per gli USA, per il mondo, per tutti noi. Non dormii quella notte, camminai ininterrottamente, andando su e giù per casa, perché ero ben consapevole che la nostra vita quel giorno era cambiata, cambiata per sempre, conoscendo un po’ la mentalità degli statunitensi sapevo benissimo che la risposta sarebbe stata micidiale, per cui ci sarebbe stata una guerra. Contro chi e come, al momento non lo sapevo, ma di questo ero ben sicura, guerra sarebbe stata e in quei momenti tutta la paura del nucleare vissuta negli anni ’50 e ’60 venne fuori.
    Su tutto quello che è venuto poi (le tesi negazioniste, le teorie del complotto attribuito agli USA stessi o a Israele, la miseria umana di non saper neanche rispettare quei poveri morti, tutti i distinguo possibili e inimmaginabili), ritengo, come al solito, sia preferibile “il tacer è bello” e “tutto resto è silenzio”.

    Mi riservo, se ne sentirò l’esigenza, di tornare a commentare.




    Sorry: è "attestano" e non "attestato".
     
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23 replies since 29/3/2012, 22:10   1789 views
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