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Non c’è niente da fare, quando ingranano il gatto e la volpe sono veramente bravi e con il passare delle stagioni hanno affinato le loro qualità, come sta dimostrando questa ottava stagione, in quanto stanno tirando fuori dal loro cappello a cilindro una serie di episodi veramente eccellenti. A partire da 8x10 (mi riferisco alla scena finale, quella del ballo) intrecciando le grandi tematiche con le vicende dei vari personaggi, sia come argomento dell’episodio oppure dei brevi flash (paradigmatica è la presa di posizione di Booth sull’impossibilità di accostarsi al sacramento della riconciliazione e la sua affermazione conclusiva sulla piena e incondizionata responsabilità nel rispettare le regole o nel derogare da esse), stanno sviluppando un discorso mai banale, anzi, serio, serissimo. Da questo punto di vista da 8x10 è un crescendo, il cui vertice, per ora, è questo episodio, in cui l’opzione per la scienza da parte di Brennan, su cui ha strutturato per tanto tempo l’intera esistenza, si arricchisce di motivazioni che sicuramente esorbitano dalla sfera razionale e afferiscono di più a quella psicologica. Il fulcro dell’episodio è l’incontro tra madre e figlia in una realtà alternativa. Nel dialogo che si instaura fra di loro, riemerge gradualmente il ricordo della loro ultima conversazione, svoltasi la sera prima della sua scomparsa e il consiglio che la madre allora le diede: quello di fidarsi sempre e solo della sua intelligenza e di non cambiare mai per non compiacere nessuno, in sostanza, di seguire sempre il cervello e non il cuore. Consiglio terribile che si giustifica solo con il fatto che, sapendo di dover abbandonare la figlia, che iniziava finalmente a crescere, a distaccarsi dai genitori, ha cercato di difenderla, di renderla forte di fronte a quelle che la mia di mamma definiva “le insidie della vita”. È una Christine compiaciuta di sé, che guarda la figlia e osserva che è stata brava (lei, Christine), perché così non ha sofferto (su questo aspetto in particolare ho molti dubbi al riguardo). Ripeto, consiglio terribile, che in un contesto diverso sarebbe una pura e semplice manifestazione di egoismo, ma che trova la sua giustificazione nel momento tragico che quella famiglia andrà a vivere e di cui la madre è pienamente consapevole, consapevole del dolore, dello stravolgimento di perdere all’improvviso i genitori amatissimi, così, senza un perché, per cui Christine ha fatto una scelta, ha mostrato alla figlia la via da seguire, le ha indicato il modo grazie al quale sopravvivere. Ma, com’è naturale, una ragazza quindicenne, che sta vivendo forse la sua prima cotta importante, a sentirsi dire cose simili si ribella, e Brennan si è ribellata, per cui le ultime parole con la madre sono stato un litigio. È molto facile immaginarsi cosa Brennan abbia vissuto, una volta scoperta la scomparsa dei genitori, il suo è un dolore nel dolore, il senso di colpa scatta insieme con il rimpianto. Quel piccolo diverbio, che si sarebbe ricomposto ben presto, si è assolutizzato e si è ingigantito: sono stata cattiva! Ho deluso mia madre, l’ho fatta soffrire! Brennan non regge il tumulto che ha dentro di sé, al punto tale che molto probabilmente la sua coscienza si è subito messa in moto per rimuovere il ricordo dell’intero episodio nel momento stesso che assume e fa proprio il consiglio della madre. Ecco il punto, la novità che ci viene offerta con questo episodio: l’amore per la scienza è l’amore per la madre, la fedeltà nei confronti della scienza è la fedeltà nei confronti della madre. Brennan impegna tutta se stessa al gesto estremo e totale dell’obbedienza, ne fa precetto di vita, regola inderogabile, pur non avendo dentro di sé coscienza di tutto questo, perché il ricordo è chiuso nei recessi più profondi del subconscio e da lì niente e nessuno lo deve andare a stanare, prima di tutti lei stessa. Ci vuole questo incontro con la madre in una realtà alternativa perché riaffiori alla sua memoria. Sappiamo come il monolite costruito da Brennan a difesa di sé in questi anni si sia progressivamente incrinato grazie all’amicizia di Angela e all’azione taumaturgica di Booth. La “bella addormentata” si è svegliata e mano a mano si è aperta ai sentimenti, alle emozioni, ama, riamata, ha una figlia bellissima che adora. È sintomatico che alla domanda della madre sulla sua vita, Brennan non faccia alcun riferimento al suo essere scienziata, al suo lavoro, alla sua eccellenza professionale, il “cervello” è espunto del tutto, ma con tranquillità e, al tempo stesso, con passione risponda: ho un uomo, ho una figlia e li amo entrambi perdutamente. Tutto bene? La crescita di Brennan si può finalmente definire completa? L’incontro con la madre deve sancire questo dato di fatto? Il gatto e la volpe ci dicono di no, perché la liberazione di Brennan sia completa, è necessaria la riconciliazione con la madre e di conseguenza con se stessa e questo avviene nel loro ultimo incontro, durante il quale Christine ha un altro consiglio da dare alla figlia, con cui completa della parte mancante il discorso di tanti anni prima: ora non è più il momento di sopravvivere, ma di vivere, vivere pienamente, fino in fondo, senza remore e senza ritrosie, una vita felice, realizzata (la vita eterna secondo la tradizione biblica). La risposta di Brennan è sintomatica, di fronte alle parole della madre le dice che le vuole bene, che l’ama, perché questa è la conditio sine qua non perché tutto il resto si possa realizzare. Come, quando? Non lo sappiamo, l’episodio da questo punto di vista resta aperto: Brennan è sconcertata per tutto quello che ha vissuto e sperimentato, ma noi, che conosciamo la sua profonda onestà e rettitudine, siamo sicuri che affronterà il problema. Cambierà i suoi atteggiamenti, le sue continue citazioni, i suoi riferimenti ai precedenti, in breve, il suo bagaglio di conoscenze scientifiche verrà messo da parte? Sicuramente no, tutto continuerà come prima, ma sarà cambiata ancora più profondamente lei dentro, una persona che può dare amore, perché l’ha ricevuto, che può dire a se stessa: mia madre mi ama talmente, che non appena ha potuto, mi ha voluto incontrare, si è preoccupata per me e continuerà a farlo per sempre. L’elaborazione del lutto finalmente si potrà dire completata e Brennan, proprio perché riconciliata, potrà andare incontro alla vita, a una vita piena con il suo Booth e la sua Christine.
Non so se il gatto e la volpe e i loro collaboratori ne siano consapevoli oppure no, ma anche con questo episodio hanno portato alla nostra attenzione questioni dirimenti, perché lo svolgimento dei fatti comporta un continuo riferimento a quelli che, una volta, si era soliti definire i “massimi sistemi”. Le domande metafisiche per eccellenza: chi sono, perché sono, come sono, sono lì, ci interpellano e chiedono (pretendono) una risposta. L’asse portante della series, ossia, l’incontro/scontro tra scienza e filosofia (intesa come umanesimo) emerge ancora una volta in maniera limpida e senza possibilità di equivoci e con un approfondimento ulteriore. Il rapporto di Brennan con la vita, con il mondo si colora e si arricchisce ulteriormente, perde l’asetticità dicotomica (è così, non c’è altra possibilità) degli inizi e prospetta sviluppi ulteriori. Non so come e in quale maniera vorranno sviluppare tutto questo, ma in attesa de “il seguito alla prossima puntata” rimando l’analisi di questo tematiche alla fine della stagione, quando, spero, avrò un quadro più chiaro. Troppe volte sono caduta nelle trappoline di Hanson e Nathan e a posteriori mi sono dovuta dire: “ah, intendevano questo” e così dover riconoscere d’aver toppato. Vi lascio con un piccolo anticipo, però, il problema dei problemi è questo: la vera libertà, la libertà interiore è una libertà da o una libertà per? La libertà è nell’eliminare ogni vincolo e ogni limitazione oppure nell’assunzione consapevole della ragione dell’altro e da qui la necessità della regola? Il rapporto con l’altro rispetta la parità ontologica oppure è solo dominio e/o servaggio secondo la dialettica servo/padrone? Come al solito, “ai posteri l’ardua sentenza”, dopo che avremo capito dove il gatto e la volpe si vogliono portare e così li potrò approvare o disapprovare. Vi sembra troppo? Ma guardate che non sono isolata in questo, perché Luca Bandirali e Enrico Terrone, autori della “Filosofia delle serie tv. Dalla Scena del crimine al Trono di spade”, (Mimesis, Milano, 2012) hanno scritto il loro volume, perché intendono dimostrare come e perché le serie tv incidano “così profondamente nella nostra natura di esseri umani” e perché siano in grado “di dirci qualcosa di significativo su questa nostra stessa natura”. La tesi fondamentale è che le migliori series “ci aiutano a capire più in profondità il mondo in cui viviamo e le forme della nostra esistenza al suo interno” (p.10). Che ne dite? Vi sembra poco?
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