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Episodio bellissimo, così umano che di per sé quasi non richiede commento. La dinamica è perfettamente coerente e in linea con la settima stagione nella sua interezza e con le premesse della stagione attuale. È la prima grande crisi della loro vita insieme, quella che li mette un’altra volta, l’ennesima volta, l’uno di fronte all’altro, nudi e crudi nella verità di se stessi, presi da un tale empito da sembrare non avere altro che una serie di parole dure e sferzanti da lanciarsi reciprocamente. Ci si potrebbe, retoricamente, chiedere, ma non hanno discusso fin dalla prima inquadratura insieme? Non è stato il lietmotiv dell’intera series? Sì, solo che questo è un litigio del tutto diverso, è un litigio domestico tra una donna e un uomo che convivono e hanno una figlia insieme. In questa occasione non viene messa in discussione solo una collaborazione di tipo professionale, pur così intensa, ma è la stessa impostazione che hanno scelto di dare alla loro vita. È la loro intera vita a essere messa in discussione, perché, se l’elemento scatenante è l’abbandono di Brennan, le cose che si rinfacciano vanno ben oltre e toccano le corde più sensibili del loro essere: la paura di Booth d’essere marginalizzato, in una parola, estromesso da ciò che per il suo animo così passionale è essenziale, l’esserci, il prendersi cura, il “risolvere cose”, cui corrisponde quella di Brennan di essere minacciata nella sua razionalità, che i tre mesi di solitudine sembrano aver riportato ad una situazione “quo ante”, e di essere lesa nella sua indipendenza: “non puoi dire come devo vivere, non siamo sposati!”. Il sentimento che nutrono l’una per l’altro, il loro amore dove è andato a finire? In questi momenti sembra essersi volatizzato, ma è ovvio che non è così, anche se è molto bello come il gatto e la volpe abbiano saputo comunicarci il suo lento riemergere e riprendere forza. È la scena del Jeffersonian, per me, destinata a diventare uno dei top della series sia per quello che ci rappresenta, sia per la bravura degli due attori: lo sguardo di Booth, quei momenti in cui prende coscienza che non c’è niente da fare, è la donna della sua vita, che l’ama con tutto se stesso e nel riconoscerlo si consegna al suo sentimento, e il girarsi di Brennan, il suo deconcentrarsi da ciò che è proprio suo, lo studio delle ossa, per dare ancora una volta, l’ennesima volta, spazio all’uomo che ha di fronte, ad accoglierlo senza resistere. La scena conclusiva, anch’essa, molto bella, è per me il corollario di questo ritrovarsi. Certamente, la luna di miele, dilatata per l’intera settima stagione, a mio modesto parere a ragion veduta, è finita, nulla sarà più uguale. Ma l’interruzione traumatica del “pucci-pucci” è nella direzione della vita reale (così come molto bene ha condiviso con noi Cristina) e poiché non siamo “né angeli, né bestie”, sicuramente avremo altri momenti di difficoltà. Ma come non si finisce mai di conoscerci, così non si finisce mai di crescere, di darsi e donarsi sia con le buone che con le cattive. L’ho scritto all’inizio, sono così umani. Lo scenario che ci si apre di fronte richiede grande polso autoriale e intelligenza non da poco per essere gestito con avvedutezza. Certo è che, come ci hanno ampiamente dimostrato altre volte, il gatto e la volpe possono anche toppare alla grande, ma per ora godiamoci il bello che ci è stato offerto e gustiamocelo tutto e lasciamo perdere le “geremiadi”, ormai così diffuse tra i fan di Bones.
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