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O adesso o mai più... Una puntata che non esito a definire splendida, perfetta come celebrazione di una pietra miliare - il centesimo episodio della serie "Bones". Come ogni festeggiamento che si rispetti, doveva essere l'occasione per guardarsi indietro, brindare a ciò che si era, e lo fa con la tecnica narrativa del flashback, affidato ai due protagonisti mai così all'unisono. Di fronte ad uno Sweets sull'orlo di una crisi di nervi, forse non tanto per la scoperta di avere scritto un libro partendo da un ragionamento viziato dalle fondamenta, quanto per l'affetto che ormai porta loro, eccoli ripercorrere l'inizio della loro collaborazione. Lo fanno coi toni quieti e familiari di una coppia collaudata che rivive la nascita della sua storia; si giustificano a vicenda se ce n’è bisogno, sorridono dei particolari che tornano loro in mente, sono un tutto unico, contrapposto al povero Sweets, che tenta in ogni modo di far quadrare le informazioni in suo possesso, e non ci riesce a meno di non giungere alla conclusione che Bones e Booth negano, incuranti che i loro occhi e le loro azioni li smentiscano in ogni momento. Come in un album di foto, rivediamo quasi tutti i personaggi che abbiamo imparato ad amare e li paragoniamo, non senza meraviglia, a ciò in cui si sono evoluti nell’arco degli anni: Hodgins, che rivediamo nevrotico in terapia e capace di scatti violenti, approdato all’amore assoluto con cui offre ad Angela di crescere il figlio di un altro; Cam, da insicura comprimaria, è divenuta autorevole, in grado di sposare doti professionali e umane; ci manca Zack, così intelligente e fragile. E’ curioso che il primo caso vero abbia dei punti in comune con quello “ufficiale” che verrà un anno dopo; il colpevole è in entrambi un giudice, un personaggio potenzialmente in grado di insabbiare le investigazioni, e questo scatena lo spirito di ribellione del Booth già così carismatico e il desiderio di Bones di mettersi dalla parte della giustizia. L’attrazione reciproca che coltiveranno così a lungo nasce subito, e se la battuta “Lei crede nel destino?” potrebbe suonare come un tentativo di far breccia neanche tanto originale, la replica di Brennan è di quelle che spiazzano. Fin qui la prima parte, brillante, calda, rassicurante in un certo senso, tant’è vero che all’infervorata esortazione di Sweets i due reagiscono come hanno sempre fatto, svignandosela e lasciandolo lì a sospirare. Sotto sotto, sono sollevati: una volta di più in cui, nascosta la spazzatura sotto il tappeto, hanno rimosso la questione principale, per rimandarla di nuovo sine die. Ma si sbagliano ed il tono della narrazione cambia, diventa improvvisamente concitato. E’ Booth che decide di rompere il loro fittizio equilibrio, consapevole che le cose non dette sono più facili da ignorare, quasi non esistessero. Sconvolge il “no, no” quasi gridato da Brennan, il suo ritrarsi, il suo giustificarsi, sminuirsi (come se fosse possibile) agli occhi dell’uomo che la ama. Lui non la forza, comprendendo il suo stato d’animo. La rassicura: continueranno a lavorare insieme, e dire che sarebbe stato comprensibile rifiutare. Così si allontanano abbracciati, sostenendosi a vicenda come sempre, ma portandosi dietro un bagaglio di dolore da cui parevano essersi, lentamente e con fatica, affrancati. Rientrati nella loro zona oscura, dove niente sarà più come prima perché troppe cose sono state dette.
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