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Non avevo nessuna intenzione di commentare di nuovo, ma nel riguardare l’episodio la mia attenzione è stata attirata da un particolare della scena finale, che ha suscitato in me una serie di riflessioni, aiutata in questo anche dal commento di Stefania per l’episodio precedente sul cammino compiuto da Brennan.
Il particolare su cui mi sono nuovamente soffermata è la risposta di Brennan a Booth, quando, di fronte alla sua stanchezza, le suggerisce di rallentare, di prendersi un altro po’ di tempo. Declina l’invito, perché “quello che fa è importante, è anche per lei” (la pupa che tiene in braccio) e, per me, è una risposta bellissima, in puro stile brenniano, da quella donna integerrima, corretta fino in fondo, appassionata del suo lavoro (per tanto tempo unico e vero scopo della sua vita) quale è. La nascita di Christine, il suo essere presente nella sua vita, il suo graduale scoprire come questa presenza la coinvolga e l’assorba, non le fa dimenticare l’asse portante della sua esistenza, il suo lottare per la verità non fine a se stessa, ma, grazie alla collaborazione fin da subito pretesa sul campo con Booth, per un mondo più giusto. Restituire l’identità e la dignità d’esseri umani ai resti delle povere vittime, cooperare per la scoperta e assicurare alla giustizia i colpevoli rendono il mondo più giusto e ora con Christine questo diventa un dover essere da perseguire forse con ancora maggiore tenacia e perseveranza, se possibile. Nella sua intelligenza e nella sua sensibilità Brennan intuisce qualcosa di molto importante per lei, per il suo cuore e per la sua coscienza, lavoro e famiglia (potrei usare la classica distinzione pubblico/privato) non devono essere confliggenti, ma si devono integrare e interagire ad un livello superiore di tensione, che è, al tempo stesso, morale e professionale. In questo Brennan è fedele a se stessa e non si può far altro che ammirarla. A questo punto si dovrebbe arrivare a concludere che con la figlia il suo impegno ha acquisito una ragione validissima in più, registrare il fatto e non andare oltre, ma è proprio così? In questa scena Brennan ci sta comunicando solo questo? Francamente, mi sono soffermata un pochino a rifletterci e poi mi sono detta no e mi è sembrato evidente che sia implicato ben altro, perché la fedeltà a se stessa ha ben altri livelli di significato e apre squarci d’interpretazione per me molto interessanti. Lo sappiamo tutti benissimo che Brennan è stata mossa verso la scienza e la ricerca, nella fattispecie verso l’antropologia, per il bisogno di ricerca dei genitori, per conoscere e, se possibile, comprendere il perché del loro abbandono, come viene esplicitato in 1x08. La scoperta della morte della madre (volutamente non analizzo il suo rapporto con Max, perché dovrei fare un discorso molto più lungo e non è questa la sede) fa sì che diventi un discorso proiettato al passato, come se nel cuore e nella coscienza di Brennan si congelasse, continua a essere presente, ma è lì fermo, è nella memoria e nel ricordo, oltre non si può andare. La madre morta è un discorso interrotto, è un non vissuto, da cui può scaturire solo rimpianto per ciò che è stato e perciò che non è potuto essere, un rimpianto amarissimo, fonte di continuo dolore. Ma ecco che è arrivata la figlia, è nata una nuova Christine e Brennan ritrova dentro di sé la sua antica ragion d’essere e la rinnova. A conferma di quanto affermato da Harmonia in 5x01, la verità è che Brennan non è mai stata solo la fredda e analitica scienziata, ha sempre avuto bisogno di una ragione che ha tutto il calore del cuore, dei sentimenti, della passione. È una nuova carica, un nuovo slancio a andare avanti, è un impegno e una promessa con cui Brennan pronuncia il suo addio alla madre (il passato) e si butta verso il futuro, verso la speranza con sua figlia (e anche Booth, è ovvio), la nuova Christine. Uguale e diversa a se stessa. In quei momenti tre generazioni di donne sono coinvolte in un dialogo segreto e intimissimo, ognuna dà e riceve dalle altre due e tutte sono legate insieme dalla promessa della vita.
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