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Piccola avvertenza: nello scrivere il post non ho seguito gli ultimi sviluppi a partire dall'intervento di BoNeS delle 14.58, per cui chiedo scusa se, involontariamente, sembra che non abbia tenuto conto di essi oppure ho ripetuto alcuni dei vostri argomenti senza citare la fonte. Mi dispiace.
Arrivando buon ultima e avvalendomi dei vostri commenti così vari e articolati (per inciso, Franca ben tornata!), mi sono chiesta se potevo trovare una cifra comune a questo episodio, il quale mi è piaciuto, ma non mi ha entusiasmato e, forse, in alcuni suoi aspetti neanche convinta del tutto. Questa cifra mi sembra d’averla trovata nel definirlo “L’episodio dell’ansia”, dell’ansia delle quattro donne protagoniste, chiamate tutte in una maniera e nell’altra a confrontarsi con la maternità con varietà d’approccio e di problematiche a seconda della situazione esistenziale di ciascuna. Non entro nella questione sollevata da Michela sull’opportunità o meno di questa scelta, ne capisco le motivazioni e anche le preoccupazioni (quelle di Michela, è ovvio), ma questi sono problemi che, lo confesso, accantono e che riprenderò (se mi pungerà vaghezza) a series conclusa, quando avremo la storyline completa e potremo trarre il bilancio di questi anni e così potremo valutare con cognizione di causa, verificando quanti e quali “semini” abbiano avuto un degno sviluppo oppure siano stati abbandonati lungo la strada. Troppe volte Bones mi ha stupito, quando mi sembrava che un punto per me importante fosse stato tralasciato e invece, a sorpresa veniva ripreso e approfondito. E dato che, se continua questa crisi di creatività alla Fox, faremo in tempo ad affrontare il problema della scelta del college da parte di Christine, diamo un po’ di fiducia ai due (con tutte le necessarie cautele, è ovvio. Mai più fiducia a occhi chiusi nei confronti del gatto e della volpe). Ansia, ansia che si sta vivendo o che si è già vissuta, cui ciascuna della quattro risponde o ha risposto secondo il proprio carattere e il proprio vissuto. Inizio da Shaw: la confidenza che ella fa, per me, nasce dalla stima e ammirazione che nutre nei confronti di Booth. Gli vuole andare incontro, lo vuole aiutare e così ci apre un squarcio del suo vissuto, ma anche così sappiamo pochissimo. Figlio desiderato o concepito involontariamente? Continua ad avere un rapporto con il padre oppure no? E così via. Nulla, sappiamo solo che c’è e che lei lo ama questo figlio, dalle sue parole si “evince” che è tutta la sua vita affettiva, perché quella professionale è assorbita dall’FBI, dove sembra essere impegnata per lo più in lavoro d’ufficio di raccolta di dati e informazioni. In fondo un lavoro sul campo l’ha svolto solo nell’episodio con Broadsky (lo riconosco, questa mia osservazione è un pochino azzardata: la qualifica di agente speciale viene attribuita dall’FBI anche a coloro che lavorano in retrovia? Bisognerà fare una ricerchina al riguardo). Passiamo alle nostre. Angela: Angela che è tanto cambiata e maturata e che rimane uguale a se stessa. Quel giorno sente in modo particolare l’assenza di Micheal e allora cosa fa? Semplice, se lo prende, lo porta nello studio: cosa può esserci di meglio nel “gustare” la presenza del figlio, per di più infrangendo le regole? Una vera e propria guduria. Questo siparietto è un simpatico interludio, è un modo qualsiasi d’inserire Angela nell’episodio o sta a indicare qualcosa d’altro? Non so, “ai posteri l’ardua sentenza”, chi vivrà, vedrà. Per ora, non si va oltre. Ben più complesse sono le situazioni che stanno vivendo Brennan e Cam. La prima, forse appena concluso il periodo del perpeurio, si ritrova scombussolata in tutti i sensi: la maternità, l’allattamento, il rapporto con Booth, tutta una realtà e un mondo nuovi, che la mettono in discussione, fanno crollare o traballare difese per anni e anni incrollabili. È come se un’ondata gigantesca l’afferrasse, la risucchiasse, la sollecitasse nelle scelte, nei comportamenti e tutto questo le crea turbamento e insicurezza. Inoltre, la scena finale lo sta a dimostrare in maniera perfetta, c’è questo sentimento d’amore, che la prende, la possiede, l’invade, sembra che le strappi il cuore, glielo trituri e lei è incantata di fronte a questa vita nuova, creata da lei e da Booth, che ha chiesto tanto durante la gravidanza, e che ora chiede ancora di più, l’aspetta, anzi meglio, lo pretende nel suo abbandonarsi e affidarsi a lei totalmente e incondizionatamente. Emily è stata bravissima a recitare questa ansia, questa preoccupazione di rispondere a ciò che la figlia le chiede: puramente e semplicemente la vita. Da qui anche le incertezze e le gaffes. Troppo grande il cambiamento: vi ricordate nell’episodio della terza stagione, quello dedicato ad Andy, che cosa chiede l’altro agente dell’FBI a Booth? Scrivo a memoria: “È vero che la dott.ssa Brennan si sta occupando di un bambino? Sarei pronto a pagare pur di vedere una simile scena!”. Questa scena è diventato il quotidiano e l’ordinario, a dimostrazione che almeno nei “telefilm” i miracoli accadono. Vengo a Cam e alla sua ansia da prestazione, alla sua paura di non essere la madre perfetta, talmente dominata dalla paura di sbagliare, che ovviamente sbaglia e di brutto anche. Non è la prima volta che una tale dinamica ci viene presentata nella series: di fronte alle situazioni critiche Cam va in fibrillazione e invariabilmente passa da un eccesso all’altro e così, anche se ha ragione, corre sempre il rischio di passare dalla parte del torto. Il problema è che non mi sembra che Cam tragga insegnamento da quanto sperimentato. È chiaro a tutti ormai che esiste un nodo non risolto nel rapporto tra Cam e Michelle e mi chiedo ma perché non l’affrontano, perché non si dicono le reciproche ragioni e non si spiegano? In passato, anche se spinte a ciò dal conflitto scatenatosi fra di loro, l’hanno fatto (ad es. il discorso che Cam fa nell’episodio natalizio della quinta stagione, quando alla fine prende coraggio e si rifiuta di portarla all’aeroporto; oppure, quando al Diner, di fronte alle confidenze di Michelle sul sesso, le chiarisce con tatto e sensibilità, che è una sfera in cui sono coinvolti profondamente i sentimenti, per cui il farlo non può mai essere solo un esercizio di ginnastica). Invece, ancora una volta, Cam ricade nel suo comportamento sbagliato, anche se poi “si redime”, in questo caso, dopo le contestazioni di Michelle e la dichiarazione di Finn. Lo confesso, ho provato un pochino d’imbarazzo nel guardare questa scena e mi è dispiaciuto per Cam, non se lo merita. Ha tutte le ragioni del mondo, ma perché non affronta i suoi conflitti interiori? Che tutto finisca a tarallucci e vino, è proprio quello di cui ha bisogno la figlia? È questa la strada grazie alla quale una ragazza, che ha già sofferto tantissimo nella sua vita (il non avere avuto una madre, l’abbandono di Cam quando era piccolina, la morte del padre), arriverà a maturare la responsabilità della sua libertà? Anche in questo caso vedremo. Arrivata a questo punto, mi è evidente che l’episodio si conclude con un discorso aperto: ogni “ansia” avrà una sua risposta individualmente considerata e/o nell’interagire reciproco? Speriamo proprio di sì, anche perché le “quattro” sono così sensibili e intelligenti, che se la meritano proprio. Per cui, secondo la migliore tradizione dei romanzoni d’appendice del XIX secolo, diciamoci: “il seguito alla prossima puntata”.
P.S.: un’ultima osservazione. I miei complimenti alla pupa che interpreta Christine (anche se a recitare di solito sono dei gemellini/e). Nella scena iniziale è adorabile nel suo guardarsi ammirata e rapita il suo papà, o meglio David, se lo gusta proprio, si umetta le labbra, tira fuori la linguetta, accenna a qualche smorfietta. Non c’è niente da fare, è proprio contenta di stare fra le sue braccia e come darle torto? Mi sa che la pargola promette proprio bene.
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