7x06 The Crack in the Code
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7x06 The Crack in the Code

15/12/2011 discussione versione originale

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  1. sella
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    II Puntata.
    Chiedo scusa per il ritardo, ma i giorni appena trascorsi non sono stati lieti, sono stata molto preoccupata per la salute di una mia carissima amica e non ero in animo d’interessarmi alle “frivolezze”.
    Veniamo al dunque. La mia analisi, com’è facilmente intuibile, è focalizzata sulla scena finale. Nello sviluppo armonioso di questa settima stagione, nel delinearsi progressivo di un rapporto sempre più consolidato, fin da subito siamo stati messi di fronte al problema “casa”. Le condizioni le conosciamo: deve essere un luogo diverso da quelli finora frequentati, deve avere le caratteristiche necessarie affinché tutti i membri della famiglia possano viverci al meglio, facendo sì che da una pura e semplice “house” divenga mano a mano con il passare degli anni una “home”, secondo la battuta finale di Booth, perché è questo l’aspetto essenziale: l’edificio, gli spazi disponibili, il giardino devono divenire il luogo degli affetti, del calore, in una parola, della famiglia e per la famiglia. Casa nuova, perché la loro vita è nuova. Arrivati al sesto episodio, ecco che il problema di trovarla diventa pressante, il tempo stringe, ne parlano in continuazione, si può dire che Brennan trascorra il suo tempo o al tavolo del laboratorio o con in mano i giornali con gli avvisi economici. Ma niente, finché Booth non coglie al balzo l’input di Sweet e verifica le offerte di aste degli stabili confiscati da parte dell’FBI e finalmente trova quello che gli sembra veramente rispondere a tutte le loro esigente. Trova casa! Com’è nel suo stile, si fa prendere dall’entusiasmo. Ma, com’è ovvio, Brennan deve essere non solo d’accordo, ma anche convinta della scelta, ossia, deve condividere l’entusiasmo. Così la porta a visitarla e noi proviamo un puro e semplice moto di sconcerto. Un Booth agitato e nervoso introduce Brennan in che cosa? Un rudere, una stamberga, un residuato di qualche uragano? Quello che ci si presenta sono i miseri resti di una tipica casa statunitense in legno, che definire fatiscente si è anche troppo gentili. Eppure Booth è entusiasta, ne loda le proporzioni armoniose, ne illustra le potenzialità e tutto orgoglioso procede stanza per stanza, aspettando un segnale, un fremito, una qualche reazione. Niente, ha di fronte una Brennan che si guarda intorno stupita e silenziosa. Ed ecco Booth iniziare la retromarcia, la sua agitazione mano a mano cresce, innesca il meccanismo della giustificazione: ho sbagliato, scusami, ho dato solo la caparra, la chiederò indietro, è vero mi sono lasciato prendere. Ma, mentre le scuse boothiane diventano un flusso ininterrotto, ecco Brennan emettere il suo giudizio: “È perfetta!”, è pienamente d’accordo. Eccoli lì, l’una di fronte all’altro, lei, di una bellezza folgorante, illuminata da una luce interiore, che gli comunica la sua piena approvazione, perché vede “lo scheletro” della casa, lui, fulmineamente passato alla versione Baloo (l’orso de Il Libro della giungla), un peluchone da strizzare e coccolare, che si rituffa nel suo entusiasmo, ancora più estasiato dall’approvazione ottenuta. Ancora una volta, per l’ennesima volta, assistiamo alla magia di questi due che vivono un momento di perfetta sintonia, con una infinita ricchezza di sfumature e significati. Questa volta l’iniziativa è stata di Booth, è stato lui che ha avuto l’idea, è stato lui che è andato a vedere e si entusiasmato. Perché non si è lasciato scoraggiare? Perché ha guardato oltre, non si è fermato, non si è fatto condizionare dallo stato miserrimo della casa, ma è riuscito a vederne le possibilità e l’ha riconosciuta come pienamente rispondente alle loro esigenze, nel guardare tutta quella devastazione ha visto e nel vedere ha chiamato Brennan. Il momento fondamentale di tutta la scena è il chiamare (il termine tecnico, molto bello è “vocare”), perché l’entusiasmo di un sogno, la fiducia, l’energia, la vitalità sono tutte emozioni che devono essere vissute insieme. Perché da un guardare in superficie la realtà, l’esistente bello o brutto che sia, devo passare a vedere con intenzione, in profondità ciò che quanto ho di fronte può diventare (esiste addirittura la teologia dello sguardo, per esempio, è fondamentale nel Vangelo di Giovanni all’inizio della missione di Gesù, quando Maria alle nozze di Cana chiama il Figlio a guardare la realtà degli uomini: “non hanno più vino”, ossia, la vita non decolla. Gv. 2,3). Alzare lo sguardo. Vogliono costruire, non distruggere. Quel rudere diventa la metafora del loro stile di vita. Prima di tutto loro stessi, come individui, come coppia e come famiglia che si sta formando, poi come persone responsabili nei confronti degli altri (amici e non) e della società. E’ un aprirsi alla speranza e al futuro, insieme. Il rudere diventa così simbolo e, al tempo stesso, metafora del loro approccio alla vita. È vero, hanno dalla loro la scienza, l’ordine sociale con le sue leggi, l’FBI, ma tutto questo sarebbe lettera morta se non ci mettessero il loro esprit, la loro forza, il loro coraggio, la loro determinazione. Sono immersi nella morte tutti i giorni, ma con tutte le loro energie la combattono, e l’identità della/e povera/e vittime e il/i colpevole/i assicurati alla giustizia è il loro modo di sconfiggerla, la lotta per la verità e la giustizia si rinnova tutti i giorni e tutti i giorni, anche se a volte stanchi e scoraggiati, l’affrontano. Sono consapevoli che il risultato non sarà un mondo perfetto, di verità e giustizia pienamente dispiegate, perché sanno che la realtà, in quanto umana, non sarà mai giusta e perfetta, perché, prima di tutto, giusti e perfetti non solo loro due. Ma questo non li rende rinunciatari, non si lasciano andare al vittimismo querulo e infantile: hinc et nunc, che cosa posso fare per rendere un pochino migliore il mondo in cui vivo?
    Il loro approccio alla vita, lo stile con cui l’affrontano è sideralmente antitetica a quella di Pelant, il quale, chiusosi nel suo mondo autoreferenziale al punto d’essere dominato da un delirio d’onnipotenza giunto al livello stratosferico di sentirsi padrone della vita e della morte, vuole solo distruggere. Nella sua solitudine disperata e disperante Pelant, per avere la certezza d’essere perfetto, superiore a tutti, lo deve dimostrare a se stesso continuamente, è l’oltre-uomo prigioniero dei suoi meccanismi e non potendo creare la vita, crea la morte. Il perseguire la giustizia, la sua giustizia, diventa l’unica strada percorribile, l’obiettivo attraverso cui realizzare se stesso. Il problema è che la sua non è giustizia, mai, in nessun caso, è solo la modalità con cui alimenta il proprio smisurato ego. Non per niente, per Aristotele, la giustizia è la virtù per eccellenza, perché è “virtù ad alterum” (Etica Nicomachea, Libro V) e Pelant ormai non sa neanche che cosa significhi avere un rapporto paritario con qualcun altro. A livello di intelligenza e di genialità Pelant è alter ego di Brennan, ma lei ha qualcosa che lui non ha: ha Booth. Da quando si sono conosciuti tra loro due è stato un dialogo ininterrotto. Se ne sono dette e se ne sono fatte di tutti i colori, ma non hanno mai smesso di comunicare fra di loro, a volte con dolore e fatica estrema, a volte senza verbalizzare, ma il legame in un modo o nell’altro non si è mai spezzato. Questa è la loro forza e ora sono ben intenzionati a sfruttarla. Per costruire il loro futuro e per sconfiggere Pelant, il quale, poverino, non sa di che cosa siano capaci una “secchiona” e un “semplice ragazzone”.

    P.S.: alla visita alla stamberga può essere riconosciuto un significato molto più ampio, un collegamento con la realtà che stiamo vivendo, al “grande crollo” di un ordine mondiale e globale [L. Bazzicalupo e A. Tucci, (a cura di), Il Grande Crollo. È possibile un governo della crisi economica?, Milano, Mimesis, 2010]. A questo punto, ciascuno/a di noi si deve chiedere: che cosa posso fare? Costruisco o distruggo? Siete giovani, non dimenticatelo mai e non fatevi ingannare da tutti i Pelant possibili ed immaginabili: il futuro è nelle vostre mani. Prima ho fatto riferimento a Aristotele, adesso può essere utile ricordare Platone e la sua “seconda grande navigazione”, quella che gli uomini coraggiosi al punto d’uscire dalla caverna affrontano per costruire un mondo migliore (Repubblica, 514a-517a). Meditate gente, meditate.


    Sorry, nonostante la rilettura che faccio sempre, mi è sfuggita la ripetizione della frase sul loro stile di vita e poi all'inizio dell'ultimo cpv., ovviamente, è "antitetico" e non "antitetica.
     
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50 replies since 20/9/2011, 19:04   3166 views
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