CITAZIONE
Se fossi ancora in servizio, farei vedere a lezione l’episodio agli studenti e ne discuterei con loro, perché in esso è un vero e proprio concentrato di problematiche di filosofia morale e di filosofia del diritto, che, a dir poco, hanno suscitato il mio più vivo interesse: il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, il rapporto con la legge e con il diritto, il relazionarsi degli esseri umani fra di loro, la loro libertà, la responsabilità e l’impegno a vivere secondo criteri comuni sempre in costante e continua evoluzione e mutamento (in progresso o in regresso). Questioni fondamentali, basilari, che ci interpellano tutti al massimo grado di coinvolgimento, perché, a seconda delle risposte da noi fornite ad esse, emerge il chi siamo, come siamo e perché siamo.
L’episodio si conclude con l’affermazione di Brennan, piuttosto ingenua, per non dire banale: “Broadsky is bad, Booth is good”, mentre in essa è sintetizzata l’essenza stessa di esso, il suo significato più profondo. Broadsky e Booth non sono uguali, è un abisso fra di loro. Che cosa è successo perché due uomini, partiti da una situazione comune, l’essere stati ambedue cecchini, compagni d’arme, si trovano su due fronti contrapposti al punto tale che è diventata una questione di vita e di morte, la vita per l’uno e la morte per l’altro? Perché uno ha scelto la via della morte e l’altro la via della vita (Dt 30), ossia, la scelta delle scelte, quella in cui la libertà e la responsabilità di un essere umano sono implicate in toto? Perché uno è diventato un serial killer e l’altro un uomo di legge, un agente federale? In fondo, ambedue si dichiarano dalla parte della legge, vivono e si impegnano per la giustizia, ma quale legge e quale giustizia? La prima chiave interpretativa per comprendere meglio ci viene offerta da Booth, quando reagisce in maniera esagerata ad una semplice osservazione di Brennan (beh, ragazzo mio, la coda di paglia deve essere bella grossa, puoi fare il simpaticone quanto ti pare, correre con lei, renderti disponibile ad ascoltare conferenze, non serve a niente, lo scoppio di rabbia e l’attacco finali di 6x13, l’aver pronunciato quella frase che, personalmente mi ha agghiacciata “se non ti sta bene, quella è la porta”, tutto questo sicuramente sta ravagliando dentro di te e hai paura, paura che Brennan …, mi fermo con l’inciso, se no perdo di vista il filo della mia riflessione, sicuramente ci sarà l’occasione per riprendere la questione): i cecchini sparano, uccidono, ma non sono loro a scegliere i bersagli, obbediscono. Le sentenze non sono emesse da loro. Ecco il punto, Broadsky, una volta finito il suo impegno di militare, secondo un processo spiegatoci da Sweets, è arrivato a farsi sistema, colui che ha il diritto-dovere di realizzare la giustizia, di essere poliziotto, pubblico ministero, giudice e giuria. E’ lui la legge, la sua incarnazione e realizzazione. In fondo, in alcuni tratti, in maniera patologica e psicotica Broadsky alla conclusione del suo personale itinerario assomiglia a Javert de Les Misérables di Hugo, non esiste al di fuori della legge e della giustizia, anche se non è un giustiziere della notte (vedi il mio post del 16.3.10 in “Riflessioni sulla V stagione”), semmai l’angelo vendicatore o, ancora meglio, l’arcangelo che difende l’ingresso dell’Eden. La sua coscienza è in pace, anzi, la sua è una buona coscienza, non ha dubbi, procede dritto alla meta, senza preoccuparsi dei “danni collaterali” (coloro che gli si frappongono, che lo ostacolano nella sua missione non sono persone, esseri umani, ma cose fastidiose da eliminare). La sua giustizia è assoluta, perché è sua nel senso pieno del termine, ne è la fonte unica e autentica. L’autoreferenzialità solipsistica di Broadsky è tale che non è possibile mediazione, incontro, confronto. Per lui è inconcepibile, una vera e propria contraddizione in termini la stupenda definizione di Aristotele di essa come “virtù ad alterum”, ossia, virtù di per se stessa predisposta all’incontro con l’altro e che solo in questo incontro può riconoscere la sua realizzazione. Come è stato possibile tutto questo? Quale il cammino percorso? Per me, all’origine è che Broadsky, una volta congedato, non ha voluto rinunciare al potere di vita e di morte, tramutatosi in un vero e proprio delirio d’onnipotenza, così l’ha esteso, potenziato, in una parola sublimato in un habitus mentale, i cui tratti esteriori sono la signorilità e la buona educazione, in cui concentra la sua superiorità e con cui manifesta il suo disprezzo per il difettoso, il difettato, il contraddittorio, l’inferiore, il fragile, il confuso e il confusionario, il debole, l’incasinato, ossia, Booth, il destinatario perfetto di tutta la sua disistima, colui che per lui è la conferma migliore d’essere nel giusto. Booth, colui che, finito il suo servizio militare, con tanta fatica e dolore si è ricostruito dentro di sé, mettendosi al servizio degli altri e del potere costituito, fuggendo dal fascino dell’onnipotenza, cercando di riparare, di salvare la vita a più persone possibili in maniera da provare sollievo dal senso di colpa che l’attanaglia e, a volte, non lo fa respirare. Tutto questo travaglio si è venuto a innestare in un tessuto di vita già molto difficile e altrettanto doloroso, di cui Booth porta ancora tutte le conseguenze. Ma, come gli attesta Sweets, anche lui ritornato se stesso, ormai lontano dall’influenza nefasta di Hannah, ci è riuscito, il suo impegno a diventare un uomo onesto, in grado di svolgere ai massimi livelli l’attività d’agente federale, sapendosi una componente del sistema, che accetta, rispetta le leggi che regolano la vita comune di tutti, insomma, fa il suo dovere, è riuscito e lo realizza giorno dopo giorno. Dentro di sé il dolore e il senso di colpa non sono scomparsi, ma metabolizzati e interiorizzati nella giusta maniera, essi sono diventati fonte di vita e non di morte, sia per Booth, sia per tutti gli altri. Per cui, Booth è pienamente in grado d’accettare la sfida di Broadsky, di rispondergli che la sua cattura diventa l’obiettivo più immediato da raggiungere, perché … perché è il suo lavoro. Scusatemi tanto, qui è tutta la dignità e la grandezza di un uomo, il quale ha un compito da svolgere, il suo lavoro. Sul piano affettivo è ancora molto, molto carente, ma speriamo bene …