Riflessioni sulla V Stagione

Spoiler V stagione

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    Ho letto questo post adesso, nella distrazione e alle prese con un aspirapolvere ribelle.
    Ringrazio con tutto il cuore l'autrice.
    In BONES è certamente centrale la relazione di amicizia amorosa tra i protagonisti. Mi fa piacere, però, che siano state messe in rilievo anche tematiche di fondo, tanto importanti quanto l'amore.
    Ho avuto spesso il medesimo atteggiamento di confronto con altri telefilm che ho amato molto e sono contenta di leggere riflessioni ampie.



    CITAZIONE
    NON VIOLENZA. Come mai riesco a definire Bones una series caratterizzata dalla non violenza? Quando assistiamo a ritrovamenti di cadaveri in disfacimento, di cui non ci vengono risparmiati particolari orripilanti, a volte, con un vero e proprio gusto del macabro (cannibalismo, docet), dovremmo concludere in senso contrario.

    Prima riflessione di rimando.
    La scienza come luce della ragione.
    Non so se l'autrice di questo post ha mai letto un bellissimo romanzo di Marguerite Yourcenar ( L'Opera al Nero )
    La narrazione si svolge tutta nella metà del Cinquecento, "spezzata" dalla Riforma che cancella l'unità religiosa e politica della Chiesa Romana e dilaniata da tremendi scontri di fede.
    Il protagonista è un medico/filosofo/alchimista.
    Per arrivare al dunque - che poi mi allungo e sono noiosa - significativo è un momento della narrazione in cui, Zenone ( questo è il nome del medico ) ripassa mentalmente alcune conoscenze sul corpo umano, sulla natura, sulla fisica.
    Comprendere la scienza, per lui, significa guardare oltre la cieca barbarie e la stoltezza degli uomini. Arrivare a vedere la "verità" ( e qui dovrei aprire una parentesi in relazione a Brennan )
    Ho sempre creduto che la violenza non fosse necessaria perchè lo sguardo di Cam, Brennan, Hodgins è strettamente scientifico.
    La scienza permette di analizzare e comprendere i dati, senza coinvolgimento emotivo,
    Il raziocinio ( oltre all'emozione ) ci insegna poi la sconvolgente stupidità di un'impiccagione, di una tortura, di un colpo di fucile.
    La banalità del male ;)




    CITAZIONE
    Sempre per rimanere nel campo televisivo, il sistema giuridico può essere sottoposto ad una lettura critica e irriverente come dimostrano quei veri gioielli che sono Ally McBeal e Boston Legal.

    Oh! Boston Legal! :woot:
    Sono una grandissima fan dello show.
    A questo proposito, voglio precisare che a me piace proprio il "relativismo" ( se così posso dire ) della serie.
    L'agilità mentale di Alan e la sua disillusione nei confronti di un sistema che, essendo prodotto di uomini comuni, è pur sempre fallibile.





    CITAZIONE
    Si può prendere ad esempio anche Angel e la sua critica feroce alla casta degli avvocati attraverso la Wolfram & Hart.

    Grande show anche Angel!
    Uno dei miei preferiti in assoluto.
    Lì ci ho visto dentro un Sisifo ribelle e mi è piaciuto tanto.
    Sono una stupida nerd della filosofia, lo so. Ma è appassionante leggere uno show ( che poi è non è un prodotto puramente "intellettuale" ) da diverse angolazioni, anche accademiche.



    CITAZIONE
    Perché, attenzione, a differenza di noi, nel sistema di common law (ossia, il sistema giuridico dei paesi anglosassoni, il nostro viene ormai abitualmente definito civil law) l’interferenza tra il diritto e la morale è continua. Il sistema legale è legale, perché alla base ha l’impegno morale di ciascun individuo a sostenerlo e difenderlo, perché il cittadino statunitense è consapevole che lì è il fondamento e la diga di difesa per la sua libertà (il tutto per loro è incarnato nella costituzione).

    Qui mi viene in mente Kennedy e la sua rilettura dello Stato e della responsabilità politica.


    CITAZIONE
    Ma è anche accennare ad uno dei “fili d’oro” dell’intera civiltà occidentale, allo scontro tra il legale e il giuridico, tra il diritto positivo e il diritto naturale, che nell’Antigone di Sofocle, ne Il Mercante di Venezia di Shakespeare, ne La vita è sogno di Calderon de la Barca, ne La leggenda del Santo Inquisitore dai Fratelli Karamazov di Dostoievskij, fino a Il Processo di Kafka e a Corruzione nel Palazzo di giustizia di Ugo Betti, per limitarci ad esempi letterari, ha generato capolavori assoluti, che ancora oggi svolgono la loro funzione, quella di far sorgere interrogativi e spingerci a fornire risposte.

    E questo è IL PROBLEMA centrale del diritto. Nei secoli dei secoli.
    Dall'Antigone di Sofocle a Montesquieu sino ad arrivare ai giorni nostri.
    Il rapporto tra legge naturale e legge politica.
    Devo dire che, alcune volte, mi sono domandata cosa pensassero più approfonditamente Brennan, Booth e Cam riguardo all'arresto delle persone beccate da loro.
    In BONES, in larga misura, la legge politica sembra rispondere ad un criterio di giustizia.



    CITAZIONE
    Voglio richiamare la vostra attenzione su un altro aspetto: la non violenza in Bones trova il suo culmine in un luogo determinato e, forse, il più inaspettato, ossia, nella stanza degli interrogatori

    E qui mi viene in mente invece una cosa che lessi in relazione ad un autore che adesso non ricordo.
    L'uomo diviene uomo nel momento in cui comincia a parlare.
    Nel LOGOS sta tutto il succo della nostra "Umanità".
    Le guerre, le violenze, non possiamo certo cancellarle, ma se perdiamo l'abitudine alla discussione a al confronto verbale ( anche quando si tratta di punire i colpevoli ) torniamo allo stato bestiale, nel senso peggiore del termine. ( Anche perchè le bestie non producono armi atomiche, né uccidono per pura crudeltà )



    CITAZIONE
    La meraviglia e la grandezza dei classici, che da un passato così lontano ci offrono ancora la possibilità di leggere e interpretare il nostro presente.

    QUOTO!
    Grazie davvero per il bellissimo post che mi sono permessa di commentare.
    Spero di non aver fatto troppo danno! ^_^
    Torno all'aspirapolvere.
     
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  2. eli_tara
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    Questa mattina ho riflettuto un po sull'andamento di questa stagione e ho notato il grandissimo lavoro fatto da HH per poter accontentare i suoi fan senza però spingersi troppo oltre!! <_<
    Tutto mi sarei aspettata, tranne che la dichiarazione di Booth e il bacio nel presente!! :wub: :wub: . Pensavo ci avrebbe dato un contentino (ovvero solo il bacio nel passato, che devo dirlo: è stata una bomba!! :doh: ) e invece ha fatto davvero molto di più!!
    Ora ho la certezza che, nonostante il finale di stagione (almeno dalle anticipazioni) non prometta niente di buono, Hart saprà rimediare nel modo migliore durante la sesta stagione!!
    Purtroppo ragazze\i la nostra sfortuna è quella di dover continuare a pazientare!!
    (speriamo il meno possibile ;) )
    Pubblico ora questo mio pensiero perchè dopo il season finale potrei voler uccidere HH ( :skull: :skull: ) anzichè lodarlo come ho appena fatto!!
    Per il momento voglio solo complimentarmi!! :clap: :clap:
     
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  3. sella
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    Noterelle sparse. I processi.
    Premessa n.1: non ho aperto un altro topic, per cui ho inserito questa mia “divagazione” estiva in questo, anche se l’argomento travalica di molto la quinta stagione. Sarà una divagazione molto, molto lunga, in più puntate, ma non essendoci la scadenza della messa in onda, questa volta mi sono concessa tutto il tempo necessario. Quanto andrete a leggere, lo dovete considerare come un’ampia introduzione, in effetti l’ho presa molto da lontano. È un post molto professorale, per cui, legittimamente, chi vuole mantenersi in un’atmosfera di vacanza, è consigliato a tenersene prudentemente lontano. Come dimostrerò nei post successivi, anche se in questo contributo non viene quasi mai citato, Bones è implicato già del tutto nel suo obiettivo di suscitare le nostre riflessioni, i nostri dubbi, le nostre interrogazioni, le nostre perplessità e le nostre convinzioni, che sono quelle che Brennan e Booth con tutti gli altri incontrano e devono incontrare, perché lo svolgimento del processo è l’obiettivo del loro lavoro in comune.
    Premessa n.2: ieri pomeriggio, del tutto casualmente, facendo zapping, sono arrivata a Rai 2, la quale stava trasmettendo il Palio di Siena e dopo tanti anni mi sono fermata a guardare il suo svolgimento. Sono rimasta colpita, in quella corsa forsennata, tutto si gioca in quanto, due/tre minuti, in cui la violenza allo stato puro sembra dominare su tutti e su tutto (prima della partenza e durante la corsa, tutto è consentito, accordi, contrattazioni, tradimenti, nerbate tra i fantini, tutto si fa per far vincere la propria contrada, ma è altrettanto importante far sì che la contrada nemica perda. Il tifo stracittadino tra le squadre di calcio non è niente al confronto), è racchiusa la rappresentazione della vita nella sua dimensione di lotta, di competizione, di scontro e di conflitto. È l’assunzione della guerra nella sua forma peggiore, la guerra civile, che devasta la città nel suo interno (e noi italiani conosciamo molto bene queste vicende, essendo il comune nel nostro patrimonio genetico). Ma, e questo è l’aspetto che mi ha fatto riflettere, il tutto è … regolato da precisi codici scritti e non, ogni momento, ogni gesto, ogni comportamento è ritualizzato, cadenzato su precisi canoni, che vanno rispettati e ripetuti, anno dopo anno, da secoli. Tutto il lunghissimo preliminare alla corsa è una vera e propria liturgia. C’è un vincitore, tutti gli altri sono sconfitti, ma nel momento dell’esplosione della gioia più forsennata e della delusione più cocente, mentre ci si picchia di santa ragione (sono mitiche le cacce ai fantini “traditori e venduti” da parte dei contradaioli), in effetti, la violenza viene contenuta, esorcizzata, perché si inizia immediatamente a pensare al prossimo Palio e la distruttività si rovescia nel suo contrario, si ricomincia immediatamente a tessere la tela dei rapporti, dello svolgimento dei diversi compiti, in primis la raccolta dei fondi necessari fra i contradaioli. La vita inizia nuovamente a scorrere. Tutti i partecipanti in quei brevi minuti sono stati chiamati a guardare dentro di loro e fuori di loro, a dover riconoscere: questa è la verità e così fare verità dentro se stessi. Stanno assistendo a un avvenimento che li coinvolge tutti ed è da tutti condiviso e senza questo passo ulteriore la vita a livello individuale e collettivo non sarebbe nelle condizioni di svolgersi. Non possiamo pensare di vivere in pace, se non facciamo verità, e fare verità implica riconoscere anche quelle parti di noi che non ci piacciono, la storia della città non potrebbe continuare senza questa presa di coscienza. Il Palio è lo specchio (uno degli specchi possibili, è ovvio) della vita, della sua drammaticità e del suo fascino.
    A questo punto, mi è venuto spontaneo da fare un collegamento: in fondo, il processo penale non svolge la stessa funzione? Non è la ricerca della verità su un fatto criminoso? In un contesto regolato in ogni suo momento, scandito da procedure rigorosissime quello che ci viene offerta non è forse una rappresentazione “teatrale” ad elevato, a volte elevatissimo, tasso di drammaticità, una vera e propria recita, per consentire di poter concludere: è avvenuto questo, come mai e perché, per arrivare a determinare chi sia stato responsabile e in quale modalità e a quale livello. L’equivoco molto diffuso individua nella sentenza la ragion d’essere del processo penale, soprattutto, se essa infligge una pena, ossia, se è di condanna. Ma questo è la conseguenza di ciò che è veramente essenziale: il sancire la verità dei fatti e le conseguenti responsabilità. (Questo aspetto è molto chiaro nella procedura statunitense, quando essa diversifica in due momenti successivi la lettura della sentenza e l’erogazione della pena). Sulla base di queste considerazioni, ho iniziato ad affrontare gli episodi di Bones incentrati sul processo penale, proponendomi di non toccare gli aspetti tecnici, che rimando a settembre, dopo che con Mary ci saremo reciprocamente chiarite su una nostra collaborazione sul tema.
    Raccomandazione finale: il processo penale nella sua ritualità, nella sua formalità va difeso con le unghie e con i denti, perché è una delle frontiere più importanti per la distinzione della civiltà dalla barbarie e in questo compito, solitamente attribuito esclusivamente alle leggi, siamo implicati tutti quanti, ciascuno di noi preso nella sua singolarità e nel suo essere parte di una società, perché sta a noi il dovere, prima di tutto di conoscere, per capire che cosa è in gioco (la nostra vita, la sua qualità, la difesa dei diritti nostri e degli altri). Di fronte alle degenerazioni, alle minacce, alle lesioni provocate dalle peggiori intenzioni, ma anche (e forse più pericolose soprattutto perché più sottili, più subdole) dalle migliori intenzioni, siamo chiamati al dovere supremo per ogni uomo dell’esercizio della conoscenza critica, la quale di per se stessa esige che non ci si muova fin dall’inizio per schieramenti, per fazioni, per ideologie contrapposte. Il processo penale, come ogni ambito e settore del diritto, richiede freddezza ed oggettività. Jean Bodin, il grande pensatore francese, colui che ha definito la sovranità ed ha fornito uno dei concetti fondamentali su cui si regge la politica dell’età moderna, nel suo definire il potere, la sua natura e il suo esercizio, non a caso ha sottratto ad esso proprio l’ambito penale, rimasto tradizionalmente attinente al diritto naturale e a Dio. Materia troppo delicata per poter essere lasciata in mano dei detentori del potere. La storia del diritto, se smentisce nel suo svolgersi da una parte Bodin, dall’altra conferma la sua scelta. Lo sforzo di questi secoli nella cultura occidentale, sia di tradizione romanistica, che di common law ha portato a conquiste grandissime, le quali si concentrano sul diritto alla difesa e le garanzie che l’imputato ha, in primis, il principio inderogabile della “presunzione di innocenza” fino all’ultimo grado di processo, che per noi è la sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Se non assumiamo questo principio, se non lo facciamo proprio del nostro modo di pensare e della nostra mentalità, potremo essere le persone migliori del mondo, affermare principi e valori indubitabili, ma avremo dentro di noi questo buco nero che viola la libertà dell’altro e la propria e in questa maniera smentiremo l’umano che è, e deve sempre essere, alla base del diritto. Il diritto non è solo procedura e tecniche conseguenti, ma è una delle modalità proprie dell’assunzione dell’umano in tutti i suoi aspetti, positivi e negativi, perché l’essere umano diventi tale e tale rimanga. Quando ho iniziato a studiare giurisprudenza, ci veniva continuamente ripetuto come un ritornello il detto: “meglio un colpevole fuori, che un innocente dentro”. Non so, se ancora oggi, viene insegnato, certo lo si dovrebbe ricordare a tanti urlatori di ogni specie e risma, che ai nostri giorni sembrano occupare completamente la scena. Il rispetto umano è inderogabile, l’imputato può essere il peggior delinquente esistente sulla faccia della terra, ma ha diritto al rispetto delle regole. In caso contrario, la nostra giustizia non si differenzia da Tribunale del Comitato di Salute Pubblica dei Giacobini (l’emblema della giustizia politica e, perciò stesso, dell’ingiustizia).
    Vi racconto un episodio, che mi ha insegnato molto sul rispetto umano. Ho insegnato per molti anni a Cosenza e durante questo periodo, dolorosamente, ho dovuto partecipare a funerali e recarmi al Cimitero. La prima volta che mi sono recata lì, la mia attenzione è stata attirata da una lapide, voluta dalle autorità di allora, che si trova all’ingresso principale, nella quale sono ricordati i soldati austriaci fatti prigionieri durante la prima guerra mondiale, portati fino in Calabria, e morti durante la prigionia. L’essere nemici, l’essersi combattuti in maniera feroce, l’odio che può esserci stato, tutto questo decade e viene messo a tacere, perché di fronte alla morte il rispetto nei confronti dello sconfitto (e morire prigioniero è la sconfitta all’ennesima potenza) diventa l’unico atteggiamento possibile. Quella lapide mi ha fatto riflettere e dentro di me ho dato atto alla sensibilità umana ed al senso civico di coloro che l’hanno voluta porre all’ingresso principale, quale monito per chiunque entri e quale invito attraverso la memoria alla pietas e alla compassione. Questa è civiltà, quella vera.
    (Il seguito alla prossima puntata).



     
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  4. sella
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    II Puntata:
    Piccola premessa, prima d’iniziare a scrivere mi sono andata a rileggere gli Extra di Franca e le discussioni sul Forum (come siamo cresciuti in questi anni! Complimenti a tutte/i noi!). Inoltre, come anticipato nel post precedente, toccherò gli aspetti procedurali strettamente attinenti all’episodio per quanto attengono agli sviluppi narrativi dei personaggi.
    Prenderò in esame gli episodi incentrati sui processi e precisamente, 1x08 (The girl in the fridge), 2x14 (The man in the mansion), 3x13 (The verdict in the story) e 5x21 (The boy with the answer), tutti episodi molto belli, a me molto cari, non solo per gli aspetti procedurali, ma per i nodi tematici che vengono affrontati e per come il gatto e la volpe ne abbiano saputo usufruire per arricchire e, al tempo stesso, sfaccettare una delle strutture portanti del loro universo creativo, in cui sono veramente bravi: la ricchezza del cuore grazie alla quale, se fatta crescere e esercitata nelle dovute maniere, consente di qualificare l’appartenenza al genere umano dei vari protagonisti (e, pertanto, di ciascuno di noi) proprio nella dimensione dell’umanità. Come sempre in Bones è un itinerario non facile e molto doloroso. Dalla prima alla quinta stagione il filo conduttore è il crescere nei rapporti da un io-tu complesso, ma ancora inarticolato, ad un noi, in cui le interazioni rivelano a quale livello di maturazione sia arrivato il loro rapporto di amicizia/collaborazione. Si inizia con Brennan e con la verità di se stessa, e di come Booth intervenga perché la sua parte sempre nascosta venga manifestata, si passa all’amicizia, difficile, ruvida, piena di asperità tra Booth e Jack, segnata dalle loro reciproche antitesi sia caratteriali che di mentalità, ma che una volta raggiunta, nella loro reciproca diversità trova tutta la ricchezza e modalità dei rapporti umani. Nel successivo episodio, 3x13, attraverso il processo a Max, Brennan ha l’opportunità d’affrontare il suo legame con il padre (e anche con il fratello). La solidarietà e il coinvolgimento di tutti quanti è cresciuto, il suo problema familiare è inserito in un gioco di squadra che ci dimostra come questi cuori si siano aperti e siano in grado, nel rispetto delle regole e nella professionalità del loro impegno, di arricchire del vero tessuto vitale, dell’amore, dell’amicizia, dell’affetto, i momenti più duri e difficili. Tutto questo trova la sua piena esplicitazione, per ora, in 5x21, dove la coralità raggiunge il suo massimo. L’impegno per il nemico comune, la lotta aspra e acerrima contro il Becchino, al tempo stesso, personale e istituzionale, rivela a quale livello di unione questo “noi” sia arrivato. Unione così profonda e così radicata, che sono in grado subito dopo di separarsi, passaggio inevitabile da dover affrontare per poter continuare a vivere il loro stare insieme nella prospettiva della crescita individuale e interpersonale.
    1x08. IO, CHI SONO?
    Brennan nell’episodio 1x05 (A boy in the bush), a Zack, che dimostra tutto il suo disagio nel dover studiare lo scheletro di un bambino così piccolo, dà un consiglio: “Mettere il cuore in una scatola”, lei l’ha fatto e non solo sul lavoro e ci si è trovata benissimo. Il cuore sarà inscatolato, ma che cuore! E l’episodio ce lo rivela e rivelandolo ci dice tante cose su Brennan, sulla verità di sé, ci anticipa quello che Avalon all’inizio della quinta stagione le confiderà: “Lei è razionale solo in superficie, al di sotto è pazza come me”, ossia, come ogni altro essere umano ha sentimenti, emozioni, pulsioni, speranze, aspettative, desideri e chi più ne ha, più ne metta. Dimensioni dell’essere umano negate, spietatamente ributtate nell’inconscio, perché è talmente profonda la convinzione, originata dall’abbandono prima dei genitori e poi del fratello, dell’impossibilità d’essere amata, il suo sentirsi indegna, che Brennan ha fatto di essa la cifra della sua identità, la “sociopatia” del Pilot. Brennan non ha retto la sua fragilità, il suo aspettarsi qualcosa per se stessa, l’essere amata a fondo perduto, e non perché buona, gentile, servizievole e disponibile, meritevole, perché si è guadagnato o meritato l’affetto. Il suo cuore non ha potuto più reggere l’aspettativa dell’attesa dell’amore, quello gratuito e donativo, il riaprirsi del cuore alla speranza ogni volta che questa possibilità possa essersi presentata e tragicamente essere di nuovo delusa e ferita, per cui si è difesa con le unghie e con i denti. In fondo, Brennan ha ucciso dentro di sé la speranza ed, avendo elaborato dentro di sé un senso di colpa colossale per il solo fatto di desiderare d’essere amata, ha cercato di cancellare tutto. Ma, e l’episodio ce lo rivela in toto, la sua scientifica razionalità, la sua alterigia, il suo scetticismo non sono il frutto di una persona anaffettiva, ma tutto il contrario di una con una tale potenzialità, con un vero e proprio surplus di amore da lasciare lietamente stupefatti, a bocca spalancata.
    Tutto questo trova degna rappresentazione nel primo processo della series, durante il quale la “sociopatia” di Brennan si presenta come un pericolo, un rischio per l’andamento del processo stesso. È la Brennan della prima stagione, ancora ben arroccata e rigida, non ha quel tanto d’appeal da sapersi rendere simpatica alla giuria, la quale non l’ascolta neppure. Ma provocata dal pubblico ministero, su suggerimento di Booth, ecco che Brennan sbotta, si apre, dice di se stessa e pone una pietra miliare all’intero edificio della series: il suo interesse è totalmente scientifico, ma la motivazione che la spinge nel suo campo è la capacità di saper vedere, no meglio, discernere in quei poveri resti una persona, ciò che è stata e ciò che ha fatto nella vita. Brennan è dalla parte della vita, perché, di fronte all’insulto feroce dell’annientamento per morte violenta, ella è dalla parte della vittima, se ne fa interprete, le dà voce (come, d’altronde attesterà, prima a Cam in 2x02 (The mother and the child in the bay) e a Booth, in 5x16 (The parts in the sum of whole), quando al suo invito a cercare le prove per condannare il sospettato obietta che cercherà la verità, se poi le due cose coincideranno tanto meglio). Qui, per me, lo ripeto, si capisce la ragione profonda per la quale è voluta scendere sul campo ed ha voluto partecipare alle indagini. È vero, doveva uscire dal suo bozzolo e nel farlo è coerente con se stessa, con la sua moralità, con la sua rettitudine, con la sua coerenza, ma è coerente anche con la parte di sé che ha respinto e respinge con tutta se stessa. È una rivelazione per le persone presenti al dibattimento e per noi, che avevamo avuto una serie di input, ma forse non pensavamo (o almeno non lo pensavo io a quei tempi) che Brennan fosse una passionale. È una scena bellissima e Emily è riuscita ad interpretarla in maniera splendida.
    Ma perché Brennan faccia uscire la parte di sé sempre nascosta, è necessaria una provocazione e all’origine di essa è Booth, il quale capisce essere questa l’unica strada per non perdere il caso. Cosa ci dice tutto questo? Ci dice che Booth conosce Brennan, la capisce, la rispetta, la provoca, la stuzzica e l’accompagna nel suo itinerario, perché, come dirà Avalon (sempre lei!) “conosce la sua verità ed è rimasto abbagliato da essa”. Quando è iniziato questo innamoramento? Dopo 5x16 sappiamo che già nel loro primo incontro, quando sono sulla porta del bar e stanno per baciarsi, Booth si ferma e le confida i suoi problemi con il gioco d’azzardo. (Subito prima, Brennan fa l’accenno alla sua discendenza diretta dal Booth assassino di Lincoln. Il gatto e la volpe riprenderanno questo spunto? Sappiamo benissimo che non fanno mai nulla a caso. Che cosa mai vorranno combinare?). Perché? Perché intuisce fin da subito che quella donna non è una semplice avventura di una notte, non è solo “fare sesso”, ma in lei è qualcosa di più e da questo incontro può nascere qualcosa di ben più profondo e vuole essere onesto e sincero. Brennan l’ha colpito e non per niente, dopo essere rimasto solo, sotto la pioggia, ha la forza e l’energia di non ricadere nel meccanismo abituale, quella notte Booth non è andato a giocare. Questo mi ha portato a fare un collegamento, riandando alle parole di Avalon (lo prometto, è l’ultima volta che la cito), quando lo descrive attraverso i tarocchi come un uomo perduto, cui Brennan ha portato la luce, mostrandogli la strada per tornare a casa, ossia, a superare i suoi incubi e le sue angosce e tornare ad essere se stesso. Le parole testuali sono: “senza di te sarebbe morto”. Solitamente, l’analisi di Avalon viene riferita all’operazione e al coma di Booth, ma mi sembra che legittimamente possa essere estesa agli inizi del loro rapporto. Brennan ha, anche se non consapevolmente, cambiato Booth, l’ha spinto a vestirsi non come copia conforme dell’FBI, ma, aspetto molto più rilevante, l’ha reso consapevole che il gioco d’azzardo era un problema, una vera e propria malattia, non per niente in 2x08 (The woman in the sand) dirà a Brennan d’essersi curato e d’essere guarito. Booth la va a cercare solo per farsi aiutare nel lavoro? Questa motivazione in lui era consapevole o inconsapevole? Forse è più probabile la seconda ipotesi. Naturalmente, tutto questo nel riserbo più assoluto Certo che questi due sono come pietre tombali sulle loro dinamiche più intime, la mia mamma a questo punto avrebbe esclamato: “Dio li fa e poi li accoppia!”. In ogni caso, quante cose si devono ancora raccontare, quante cose si devono ancora spiegare, quante cose si devono ancora rivelare!
    Il processo. L’occasione, perché Brennan riveli se stessa e ci fornisca elementi ben diversi alla sua solita autorappresentazione è offerta, come ben si sa, dalla sua testimonianza, la quale, prima che dalla difesa, viene messa in discussione da una figura che la prima volta che la vidi, mi stupì grandemente: una collaboratrice della pubblica accusa addetta a curare e migliorare l’immagine dei testimoni, in maniera che riescano a colpire l’immaginario dei giurati, la loro attenzione e suscitare la loro simpatia, la loro indignazione nei confronti dei cattivi di turno. Questo personaggio (antipatico al massimo grado) ci offre lo spunto per capire che la realtà processuale è ben più complessa e articolata di quanto si immagini. Non è sufficiente salire sul banco dei testimoni, giurare, e raccontare i fatti nudi e crudi, perché c’è bisogno di “rappresentare” questa verità (ecco la teatralità) in maniera che le persone presenti si emozionino, si convincano che quella è la verità, la facciano propria e si convincano così di operare secondo giustizia.
    Il processo con giuria (che è percentualmente una parte infinetisimale delle cause, non arrivando la maggior parte dei casi al dibattimento in aula) è di per se stesso correre un rischio sia per l’accusa che per la difesa, perché è mettere al centro della scena l’imponderabile umano, sottoporsi all’umoralità di tredici sconosciuti con le loro storie, i loro modi di pensare le loro simpatie ed antipatie, i loro pregiudizi ma per gli USA, per la loro storia, prima nel periodo coloniale e poi, è questo il modo migliore per fare giustizia, sempre che si ritenga opportuno ricorrere ad esso.
    (Il seguito alla prossima puntata).


     
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    Mi è piaciuto davvero molto il tuo primo post, lo sento davvero molto mio, come studiosa del diritto, certo, ma in qualche modo particolarmente come persona appassionata della verità e del rispetto di cui valori che ci rendono umani nel senso più bello del termine.
    Attraverso le parole che hai dedicato al principio della presunzione di non colpevolezza ed ai suoi corollari, fino all'esempio di pietas e compassione che hai ricevuto in quel cimitero calabrese, non si può non riflettere sulle cose davvero importanti della vita: ricercare e perseguire la verità, in primis nella nostra vita, anche quando costa, perché fin quando si è persone giuste e oneste niente ci deve far vergognare di quel che davvero siamo, e improntare il nostro rapporto con chi ci sta di fronte, e accanto sul rispetto e sul fatto che l'incontro con gli altri dovrebbe essere occasione di arricchimento reciproco, e da uomini che si rendono migliori l'un l'altro può derivare una società e una civiltà migliore. Possono sembrare solo parole e neanche delle più realistiche, e l'unico modo per renderle reali è viverle in primo luogo nella propria vita, senza aspettare che qualcuno agisca prima di noi in tal senso, per poi eventualmente accodarci, quel che fanno o non fanno gli altri deve certamente essere importante per noi, ma non per questo dobbiamo prenderlo come alibi per abbandonarci al peggio che il genere umano può darci.
    Di parole siamo pieni, dobbiamo vivere una vita di fatti.

    Passando al tuo secondo post, ho amato tantissimo l'analisi profonda che hai fatto del personaggio di Bones, penso che tu abbia messo in evidenza in modo stupendo il fatto che, una volta percepita la verità di questa donna, non se ne può non rimanere abbagliati, così come Booth... da una persona così, o da un personaggio, che importa... si può imparare molto, un insegnamento e un'influenza che Booth per primo raccoglie e che nel tf è quasi involontario, ma che in realtà sappiamo essere frutto dell'eccezionale bravura e sensibilità degli autori che amiamo e che davvero hanno il prezioso dono di regalarci molto in merito all'essere brave persone, qualcosa che, sì, è molto complicato e impegnativo, ma è una ricerca e un dovere da adempiere in ogni giornata della nostra vita.
     
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  6. -Julia-
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    Ho appena finito di leggere i tuoi post. Sono rimasta piacevolmente affascinata dalle tue parole, condividendone pienamente ogni minima sfumatura. La digressione sul palio l'ho apprezzata particolarmente. Io lo vedo ogni anno e, pur non conoscendone a pieno le regole, c'è qualcosa che mi cattura sempre in quello spettacolo. Ci sento dentro qualcosa di ancestrale e primigenio, qualcosa che in fondo, come dici tu, sembra essere uno degli infiniti e possibli specchi della vita.

    CITAZIONE
    Se non assumiamo questo principio, se non lo facciamo proprio del nostro modo di pensare e della nostra mentalità, potremo essere le persone migliori del mondo, affermare principi e valori indubitabili, ma avremo dentro di noi questo buco nero che viola la libertà dell’altro e la propria e in questa maniera smentiremo l’umano che è, e deve sempre essere, alla base del diritto. Il diritto non è solo procedura e tecniche conseguenti, ma è una delle modalità proprie dell’assunzione dell’umano in tutti i suoi aspetti, positivi e negativi, perché l’essere umano diventi tale e tale rimanga.

    Questa è la parte che mi è piaciuta di più. A settembre mi iscriverò a giurisprudenza e le tue parole mi hanno fatto davvero riflettere profondamente. Anche io sono convinta che lo studio del diritto va ben oltre la mera e nozionistica conoscenza tecnica; come dici te "l'umano è, e deve sempre essere, alla base del diritto ". E' questo pressuposto che mi ha portato a scegliere la facoltà di legge, perchè anche io ritengo che parlando di "uomo", nell'accezione più generale del termine, infinite sono le sfumature che vanno prese in considerazione. Un grande commediografo greco diceva " Che cose è bella è l'uomo, quando è uomo ": io penso che intendesse proprio quello che dici tu. L'uomo può essere a buon diritto definito tale, quando si comporta davvero come uomo, quando è radicata in lui la convinzione che l'umano è un concetto che non può mai essere messo da parte e tralasciato.
    " Meglio un criminale fuori, che un innocente dentro ". Non so se a me insegneranno questa frase, ma io comunque la terrò a mente, perchè ne riconosco il valore profondo.
     
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  7. sella
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    Grazie ad ambedue. Vi faccio gli auguri più sinceri per il vostro futuro di "operatrici del diritto".
     
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    Che bel post.
    Lo prendo come un segno del destino ed una chiamata al "ritorno ai libri di studio" dopo l'estate =)

    Posso permettermi di sottolineare un punto che hai evidenziato?

    Proprio perchè lo trovo interessante e spero che l'approfondirai.
    Perchè, davvero, ho letto le tue considerazioni con estremo interesse, come se tu fossi anche "la mia" di insegnante.


    CITAZIONE
    Non è sufficiente salire sul banco dei testimoni, giurare, e raccontare i fatti nudi e crudi, perché c’è bisogno di “rappresentare” questa verità (ecco la teatralità) in maniera che le persone presenti si emozionino, si convincano che quella è la verità, la facciano propria e si convincano così di operare secondo giustizia.
    Il processo con giuria (che è percentualmente una parte infinetisimale delle cause, non arrivando la maggior parte dei casi al dibattimento in aula) è di per se stesso correre un rischio sia per l’accusa che per la difesa, perché è mettere al centro della scena l’imponderabile umano, sottoporsi all’umoralità di tredici sconosciuti con le loro storie, i loro modi di pensare le loro simpatie ed antipatie, i loro pregiudizi ma per gli USA, per la loro storia, prima nel periodo coloniale e poi, è questo il modo migliore per fare giustizia, sempre che si ritenga opportuno ricorrere ad esso.
    (Il seguito alla prossima puntata).

    Ecco.
    A dire la verità, le considerazioni più belle sul processo, sul ruolo degli avvocati e sulla "macchina legal-procedurale" le ho sentite fare in BOSTON LEGAL.
    Spesso, per bocca di quel gran personaggio che è Alan Shore.
    La giustizia, la verità, la legalità sono concetti separati.
    Intimamente connessi perchè, come dicevi, non c'è giustizia senza verità, ma la verità va al di là del "fatto oggettivo".
    Almeno, per come la vedo io, ciò che è vero non si limita al fattuale.

    Mi spiego male.

    Ecco, per dire: in BONES abbiamo come prove di verità assoluta gli indizi scientifici.
    Nella realtà, spesso, la scienza riesce a dare delle indicazioni sul crimine e sulle sue modalità, senza potersi esprimere con matematica certezza.
    Allora si parla di "consulenza scientifica". Certamente, è sempre l'uomo che deve interpretare i dati acquisiti e dare loro un senso.

    In America, l'interpretazione e l'applicazione della legge tenta ancora di più di essere "umana".
    Il processo con la giuria risponde ad una precisa esigenza (che da noi non è sentita perchè siamo reduci della concezione del diritto post Rivoluzione Francese) che è quella di collegare strettamente legge e morale.
    La legge è espressione della moralità della società americana --> Chi infrange la legge deve rispondere della sua infrazione davanti alla società.

    A parte questa funzione sociologica, dal punto di vista filosofico, il ricorso alla giuria dovrebbe essere motivato dalla ricerca della compassione oltre che dell'oggettività.
    La giustizia deve essere temperata dalla clemenza, dalla comprensione.

    Siccome l'omicidio è, purtroppo, un fatto umano allora è giusto che venga giudicato oltre che oggettivamente anche umanamente.
    Suppongo che dal punto di vista strettamente filosofico sia questa la motivazione delll'umanizzazione del processo.
    Ovviamente, la mia è una semplice considerazione sul sistema americano. Non è un giudizio.
    Non sono nessuno per poter esprimere un vero giudizio su un sistema di legge.


    Questo "ritorno alla compassione", comunque, l'ho trovato espresso significativamente nell'episodio che vedeva imputato il padre di Brennan e, come dici tu, nel personaggio di Brennan ancor più che in Booth.

    Booth è un uomo di cuore, capace di compatire - sempre in senso latino - gli altri esseri umani e a me piace per questo.
    Ma è un soldato.
    Quindi è strumento di coercizione dello Stato.
    Lo Stato, però, non può essere solo coercizione, deve essere compassione (almeno, questo è quello che disse un professore a lezione :)) e quindi temperanza e comprensione.
    Brennan, come dici tu, riesce a sentire profondamente, sotto la spessa coltre di razionalità.
    Quindi, esprime quella compassione che dovrebbe guidare più che l'applicazione e il rispetto della legge (Booth) lo spirito della legge stessa.
    Poi, è una scienziata e non è una legislatrice. XD Quindi si attiene anche lei a regole oggettive ed invariabili, senza contestare più di tanto lo spirito della legge (come invece farebbe Hodgins - che io amo tantissimo - dal punto di vista intellettuale o, potenzialmente, Angela, da quello "sentimentale")

    Ma, appunto, come diceva lei chiacchierando con Booth, "è un ape regina" e quindi ha le potenzialità per conoscere il "vero spirito" delle leggi e dei principi e giudicarli in indipendenza e anche col cuore. :)
    Il cuore che non può essere mai messo da parte se si tratta di persone.
    Perchè, come diceva Spinoza: "non deridere, né compiangere, né condannare, ma comprendere."


    E Spinoza è tanto carino. ♥



    Ho detto un mare di sciocchezze. Vado via. ♥







     
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  9. sella
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    Chiedo scusa a Kiki May, ma non mi ero accorta del suo commento, non avendo più aperto il topic. Non hai affatto detto sciocchezze, anzi, tutto il contrario. Mi riprometto di risponderti alla conclusione di questo percorso, quando tutte le tematiche saranno state esposte.

    Dedicato ad Edoardo, al suo amore per la vita, alla sua fiducia e al suo entusiasmo.
    III Puntata.
    2x14: L’AMICIZIA DIFFICILE. IL RICCO E IL POVERO. È il secondo episodio incentrato su un processo, nell’ambito del quale l’intitolazione italiana, spoileirante al massimo, offre la cifra interpretativa “Manomissione di prove”. Ma, come al solito, non è solo questione procedurale, una questione di legalità, tanto per usare un sostantivo così di moda, attraverso di essa si arriva alla ragion d’essere stessa di Bones, al rapporto umano, alla sua possibilità e alla sua impossibilità, come l’impossibile possa diventare possibile, in questo caso giocata sulle dinamiche relazionali tra Booth e Hodgins. La storia è nota: un amico di Jack viene ucciso e lui, per evitare di essere esonerato dal partecipare al caso, sottrae una fotografia. Booth, che è sempre Booth, lo scopre quasi subito e attacca Jack, lo aggredisce verbalmente e sollecita perché sia allontanato, consapevole che una volta scoperto il fatto da parte della difesa, questa legittimamente, come in effetti avverrà, potrà chiedere l’annullamento del processo. Booth ha ben ragione d’essere infuriato, il comportamento di Jack configura il reato di occultamento delle prove, nel particolare, e il conflitto d’interessi, ossia, la mancanza del codice deontologico, a livello generale (anche se non avesse nascosto la fotografia, in ogni caso non avrebbe potuto partecipare alle indagini. Questo è molto evidente in 3x13, dove Brennan opera nel contesto dell’azione della difesa, completamente separata dagli altri). L’episodio, pertanto, è incentrato anche sul contrasto tra i due, perché fra tutte le “impossibilità” di partenza quella tra Booth e Jack, rispetto alle altre, è percentualmente molto più elevata e gli ostacoli per il cammino del riconoscimento reciproco e della riconciliazione sembrano insormontabili. Booth e Jack sono agli antipodi e non solo perché il secondo è uno squint (senso di superiorità da parte sua, ha la scienza dalla sua parte, senso d’inferiorità da parte dell’altro), ma perché come si sarebbe detto una volta, lo sono per casta e per censo, uno è ricco, l’altro è povero con tutto quello che ha comportato di conseguenza per lo stile di vita, per le scelte di fondo, per il loro reciproco rapportarsi con il mondo e con il principio di realtà, per le motivazioni profonde che ne determinano gli ideali, i principi, i valori di riferimento e, di conseguenza, gli atteggiamenti e i comportamenti. Il giorno e la notte, il bianco e il nero. Uno ama sistemare le situazioni, l’altro complicarle. Attenzione, però, la vita non è stata facile per ambedue, infatti, hanno fame e sete di riconoscimento e di amicizia.
    Jack, come ci viene rivelato in 1x05, appartiene ad una famiglia ricchissima con tutti i privilegi e con tutte le comodità. Senza rinunciare a goderne, Hodgins vive con un senso di colpa il suo status sociale, da qui la sua precisa scelta ideologica, anche se un pochino velleitaria: si costruisce un mondo in cui tutto è complotto, tutto è minaccia, il potere ed i suoi detentori non possono far altro che ordire trame oscure. Diventa un grande esperto di sette e congregazioni segrete, conosce la loro storia e le loro vicende. La sua denuncia non supera mai la dimensione verbale (la sua paranoia), non per niente l’FBI non lo considera un pericolo (suscitando il suo grande scandalo) e l’unica volta che i Men in Black lo trascinano via dal laboratorio è per una situazione creatagli da un agente speciale di nostra conoscenza. Jack sta bene solo nel Laboratorio, in quel piccolo mondo, fatto a sua misura, un mondo che lo difende dalle minacce, dove attraverso un suo personale percorso (cfr. 5x16) si sente al sicuro, amato e rispettato da persone che, sua volta, ama e rispetta. Jack, in fondo, vuole sicurezza e, ottenutala, crescendo mano a mano è in grado di condividere con gli altri le sue grandi qualità umane e professionali. Il percorso con Angela è, a mio parere fondamentale, con i suoi alti e bassi, con le conquiste e le sconfitte. Jack impara ad amare la libertà di Angela, ossia, ad amarla per se stessa, per quello che è nel bene e nel male, con i suoi pregi e i suoi difetti. Se egli è l’uomo della vita di Angela, così Angela è la donna della sua vita, quella con cui si può pensare di sposarsi, di affrontare l’umana avventura del matrimonio; è un lungo itinerario, iniziato nella seconda stagione, in cui in mezzo c’è di tutto, ma che arriva a 5x12, in cui Jack offre ad Angela il suo amore e il desiderio d’accogliere un bambino, che invece non c’è.
    All’apparenza del tutto antitetico il percorso di Booth, nato se non in una famiglia proletaria, di piccola borghesia. Famiglia che nasconde al suo interno un vero dramma: padre alcolizzato e violento, il quale sfoga la sua rabbia e le sue frustrazioni sul figlio primogenito, il quale prende la sua razione e quella del fratellino minore, che difende e protegge con tutto se stesso. Booth è un bambino, che fin da subito scopre della vita i lati peggiori, al punto che nella quarta stagione, dovendo raccontare una sua esperienza dolorosa, confida che senza l’intervento del nonno, probabilmente si sarebbe ucciso. Da queste vicende Booth ha elaborato un senso del dovere colossale, il bisogno di gestire e controllare le situazioni, sempre pronto a buttarsi nella mischia, a prendere di petto i problemi per tentare di risolverli, perché la giustizia deve trionfare, i torti riparati, i tiranni abbattuti, gli assassini scoperti e catturati. Le “ingiustizie” subite hanno fatto sì che Booth sia diventato sempre più un alfiere della giustizia, una persona sensibile che sa ascoltare e provare empatia per il dolore e le sofferenze degli altri (in alcuni casi anche dei colpevoli). Sappiamo che entrato nell’esercito, Booth è stato selezionato come cecchino e ha svolto il suo compito in maniera ottimale, diventando una vera e propria macchina di morte. Questo passato pesa sulla sua coscienza, al punto che, diventato agente FBI, il suo desiderio è quello di riparare, come confessa a Brennan nel Pilot, di ricostituire un equilibrio, un’ armonia cosmica.
    La scelta di Jack è stata che il mondo è contrassegnato dal disordine, dal caos, quella di Booth esattamente antitetica, l’ordine esiste, deve essere difeso, restaurato se minacciato. Ma in questa sua adesione stile Law § Order, per fortuna non è uno Javert redivivo (cfr. Les Miserables di V. Hugo), Booth mantiene il suo senso critico, non è una persona ottusa, in lui è la tensione e la necessaria dialettica di fronte alla “legge giusta” ed a quella ingiusta. Non sembra proprio essere affetto da legalismo o vivere la vera e propria sindrome “antigiuridismo e iperlegificazione” (lo so sono definizioni molto tecniche, ma fidatevi sono problemi molto concreti, basta soffermarsi un attimo sulle nostre vicende quotidiane). Esprime le sue piccole ribellioni con l’originalità del vestire, in maniera da distinguersi dall’uniformità tipica dell’Agenzia, capisce quando è il momento di compiere infrazioni mediante le quali raggiungere il risultato migliore. Il punto dolente è la salvaguardia e la difesa della famiglia (= Jared), ma questa è la tematica della prossima puntata, per cui rimando le valutazioni in merito.
    Ma in questa loro radicale diversità Booth e Hodgins hanno qualcosa in comune ed è la loro fede incrollabile nella costituzione, nella quale identificano il principio di libertà, il fondamento della vita individuale, della società e dello stato. Per il primo essa è la difesa dell’ordine costituito, non fine a se stesso, ma sempre in funzione della libertà, per il secondo, nel sancire i diritti, essa è la difesa dall’ordine costituito e dalle sue continue possibili prevaricazioni (cfr. 5x12). Le due prospettive illuminano la dinamicità che gli USA con la loro costituzione hanno saputo imprimere alla loro storia istituzionale, e fanno capire perché di tutte le costituzioni promulgate alla fine del XVIII secolo sia l’unica che è sopravvissuta. È un lavorio costante su di essa e per essa (basta pensare al vivacissimo dibattito attualmente in corso per l’eventuale costruzione del centro islamico vicino a Ground Zero). Quando gli statunitensi si mettono a cantare “God bless America” o agitano la loro bandiera, il punto di riferimento è la loro carta fondamentale, che per inciso conoscono a memoria.
    Questi due agli inizi fanno scintille, si sfidano, battutine, frecciatine, si guardano a distanza, si valutano, si può ben dire che si annusano e mano a mano, più la conoscenza si approfondisce, prima il senso di stima e di rispetto, poi un germe di amicizia nasce fra di loro. Non per niente, Booth viene in soccorso di Jack alla fine di 1x05 per avere una giustificazione a non andare al ricevimento, dove il suo ambiente scoprirebbe che cosa fa e che cosa è nella vita. Ma, per me, il passaggio fondamentale è nella scena finale di 2x09, quando Booth ringrazia il Signore perché ha salvato tutti loro. Sono parole molto belle, dove per la prima volta Booth esplicita in piena consapevolezza e determinazione il senso compiuto d’essere un gruppo, un noi così legato ed interdipendente da far sì che la perdita di uno significa la fine per tutti. In quella scena si misura il cammino compiuto rispetto ad uno degli episodi iniziali della prima stagione, quando Booth parlando con Brennan, si riferisce agli squints come “ai suoi ragazzi”. Ora sono un noi e questo senso, al tempo stesso, di appartenenza e di solidarietà viene ribadito all'inizio di 3x01, sempre da Booth. Come tutte ben sappiamo, la vicenda di Zack viene a lacerare questo tessuto di rapporti, ma ormai il cammino è andato talmente oltre da poter ammortizzare il colpo, in altri tempi mortale. Con queste premesse si spiega facilmente perché quasi alla fine dell’episodio, quando finalmente la lettera di dimissioni è stata scritta e consegnata, Jack si rechi al Diner per parlare con Booth ed informarlo del passo effettuato. (Per inciso, qui Booth pronuncia una battuta che mi ha molto divertita, quando osserva che con le dimissioni Jack si era bruciato la liquidazione. È proprio vero, gli statali sono uguali in tutto il mondo!) Perché vuole informarlo personalmente? Perché tiene alla sua amicizia, alla sua approvazione e alla sua stima e Booth depone subito le armi. D’ora in poi tutto zucchero e miele? Sicuramente no, ma pur nello scambio di battute e battutine, i due hanno modo e maniera di venirsi incontro, così è a Jack che Booth confida del bacio scambiato con la sorella di Cam ed è con Booth che Jack ha il colloquio che gli fa capire quale sia il comportamento migliore nei confronti di Angela nella proposta di matrimonio. È vero che il sostegno di Booth sembra essere del tutto involontario, al punto tale, che rimane sbalordito per la reazione di Jack, per la sua affettuosità e il suo abbraccio, da cui si schernisce con il solito sistema. Per ora l’ultimo momento topico del rapporto di questi due è in 5x12, ma avendolo già analizzato nel commento all’episodio non ci torno sopra. Vi faccio grazia!

    Il processo. Anch’esso ha degli aspetti procedurali importanti, perché la questione che viene affrontata è la correttezza nell’acquisizione degli elementi di prova. Ci sono norme giuridiche che fissano in maniera rigorosa le modalità di comportamento, ma c’è soprattutto un codice deontologico, per cui in questi casi impedisce che si ricorra a vie traverse, che ci si possa giustificare rifacendosi all’abituale alibi che “il fine giustifica i mezzi” (per inciso, Machiavelli non l’ha mai scritto). L’assoluta parità tra accusa e difesa viene ancora ribadita, il coinvolgimento di tutto il team è in questo caso più incisivo. Ma non è su tutto questo che desidero soffermarmi, perché l’episodio tematizza una questione di principio cruciale: il mio rapporto con le regole. Sono consapevole, ossia, ho interiorizzato dentro di me che il mio vivere e convivere insieme con gli altri dipende dall’avere leggi comuni, alla cui creazione ed emanazione posso partecipare in maniera diretta o indiretta secondo le regole della democrazia, cui tutti siamo chiamati al rispetto e all’obbedienza? È patrimonio della mia coscienza che la mia libertà, come la libertà di tutti, dipende dal governo delle leggi tematizzato dalla nostra civiltà fin dai presocratici ai tempi dell’antica Grecia? Oppure, quando lo ritengo utile, quando mi fa comodo, solitamente proclamando a gran voce tutta l’ingiustizia del modo, svicolo e mi creo regole e regolette a mio uso e consumo, venendo così meno ad uno dei doveri fondamentali della democrazia, ossia, l’assunzione di responsabilità della cassazione o modifica della legge ingiusta? Ho dentro di me la percezione del bene comune oppure, anche con le migliori intenzioni, il mio egoismo prevale su tutto? Per dirla con Hart, uno dei grandi del pensiero giuridico del Novecento, sono un giocatore interno (alla società ovviamente) oppure no? Se partecipo ad un gioco, facciamo l’esempio di monopoli, la condizione preliminare a tutto è che accetti le regole del gioco stesso, perché in caso contrario sarò un baro e dovrò accettare le conseguenze per la mia scorrettezza. La stessa situazione è nel nostro vivere in società, gli altri devono avere la sicurezza del potersi fidare di me. Questo non significa asservimento all’ordine costituito, il non lottare per i cambiamenti indispensabili, sapendo che può andare bene o può andare male, ma queste sono “le regole di bazzica” (mia madre docet). Non per niente, per Hannah Arendt, una delle menti più grandi dell’intero Novecento e grande studiosa della disubbidienza civile, individua punti ben precisi perché si possa configurare una vera disubbidienza e la premessa più importante che si sappia, che “le leggi sono nostre”.
    Nell’episodio la questione viene trattata nel contrasto tra ricco e povero ed ha, come è logico, una funzione narrativa (siamo alla prima grande crisi di Booth, GG non per niente svolge un ruolo importante), ma già in 1x05 Booth l’aveva affrontata con Brennan, il che è indicativo della sua rilevanza. Al sesto anno sono consapevole che il gatto e la volpe non fanno mai le cose a caso e sono bravi a tematizzare le questioni di principio senza pedanteria, invitandoci a riflettere.
    (Ahi, voi, il seguito alla prossima puntata: Papà, papà, chi sei?).



     
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  10. -Julia-
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    Sella ( scusa non so come ti chiami davvero ) leggo sempre con molto piacere i tuoi post. Come sempre approvo e, per meglio dire, mi ritrovo pienamente in quello che dici. Mi sono piaciute molto le tue riflessioni sul rapporto Jack/ Booth.
    La decisione di Jack di licenziarsi per poter recuperare l'amicizia di Booth fa capire cosa ormai tutti loro siano diventati, ossia una squadra. Fa capire come si stia creando un rapporto più maturo e più consapevole tra tutti, un qualcosa che preannuncia quello che si vedrà nelle stagioni successive.
    Mi sono andata a rivedere la puntata e un'altra parte che ho trovato molto pregante in merito è stata quella in cui Caroline ( con il suo solito piglio un pò burbero ) invita tutti loro a rimanere uniti perchè solo insieme possono essere una squadra vincente, con un legame molto speciale.

    CITAZIONE
    Sono consapevole, ossia, ho interiorizzato dentro di me che il mio vivere e convivere insieme con gli altri dipende dall’avere leggi comuni, alla cui creazione ed emanazione posso partecipare in maniera diretta o indiretta secondo le regole della democrazia, cui tutti siamo chiamati al rispetto e all’obbedienza? È patrimonio della mia coscienza che la mia libertà, come la libertà di tutti, dipende dal governo delle leggi tematizzato dalla nostra civiltà fin dai presocratici ai tempi dell’antica Grecia? Oppure, quando lo ritengo utile, quando mi fa comodo, solitamente proclamando a gran voce tutta l’ingiustizia del modo, svicolo e mi creo regole e regolette a mio uso e consumo, venendo così meno ad uno dei doveri fondamentali della democrazia, ossia, l’assunzione di responsabilità della cassazione o modifica della legge ingiusta? Ho dentro di me la percezione del bene comune oppure, anche con le migliori intenzioni, il mio egoismo prevale su tutto? Per dirla con Hart, uno dei grandi del pensiero giuridico del Novecento, sono un giocatore interno (alla società ovviamente) oppure no? Se partecipo ad un gioco, facciamo l’esempio di monopoli, la condizione preliminare a tutto è che accetti le regole del gioco stesso, perché in caso contrario sarò un baro e dovrò accettare le conseguenze per la mia scorrettezza. La stessa situazione è nel nostro vivere in società, gli altri devono avere la sicurezza del potersi fidare di me. Questo non significa asservimento all’ordine costituito, il non lottare per i cambiamenti indispensabili, sapendo che può andare bene o può andare male, ma queste sono “le regole di bazzica” (mia madre docet). Non per niente, per Hannah Arendt, una delle menti più grandi dell’intero Novecento e grande studiosa della disubbidienza civile, individua punti ben precisi perché si possa configurare una vera disubbidienza e la premessa più importante che si sappia, che “le leggi sono nostre”.

    Questa parte non potevo non quotarla tutta. Leggendola mi è venuta in mente l' Enciclopedia di Hegel, in particolare tutta la triade dello Spirito Oggettivo e soprattutto la parte della tesi ( diritto ) in cui egli afferma che la libertà dell'individuo o della persona trova un forma oggettiva e consolidata solo nelle leggi. Mi aveva particolarmente colpita quella parte quando l'ho studiata perchè Hegel, differentemente dai giusnaturalisti, riteneva che la proprietà privata non fosse un diritto di natura sacro e originario, consolidato nell'indole umana, ma che nascesse soltanto dal reciproco riconoscimento con gli altri. Credo sia proprio quello che hai detto anche tu. La mia libertà è sancita dalle leggi e posso considermi libera a tutti gli effetti soltanto se ci sono delle regole, stabilite per tutti, a farne da garante.
    Spero di aver inteso bene il senso delle tue parole.
     
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    Io seguo a ruota.
    Davvero interessante come post e mi è davvero piaciuto che tu abbia saputo mettere in risalto anche aspetti "secondari" come quelli dell'amicizia tra Jack e Booth che però, secondo me, impreziosiscono i personaggi, li rendono più umani e ci fanno entrare ancora di più nella loro psicologia.
    Credo poco all'eroe-paladino che riesce ad entrare in empatia solo con la compagna (che, in questo caso, sarebbe Brennan) e poi non è capace di stringere un rapporto di amicizia, di guardare oltre.
    Una persona umana è sempre tesa verso molteplici direzioni, giusto?

    Non quoto una parte del post perchè l'ha già fatto Julia.
    L'ho trovato davvero ispirante.
    Aspetto il prossimo aggiornamento e mi unisco al cordoglio per la scomparsa di Edoardo anche se non lo conoscevo.
     
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  12. sella
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    3x13: PAPA’, PAPA’ CHI SEI (o anche) PAPA’, MI HAI MAI AMATA?
    Dopo molto tempo riprendo questo piccolo impegno, che mi ero proposta di concludere nell’arco dei mesi estivi, ma una serie di impedimenti mi hanno distolta da esso. Prima che inizi ad affrontare l’analisi dell’episodio, devo fare una precisazione: il tema dell’obbedienza, dell’obbligo giuridico e, di conseguenza, di giustizia e di legalità è così impegnativo e, al tempo stesso, così coinvolgente, che si presta ad un’interpretazione complessa con continui rimandi dal filosofico al tecnico procedurale. Per cui, ho fatto una scelta drastica, mi sono limitata strettamente al tema dell’episodio, in modo da non sovraccaricare il mio commento in maniera fastidiosa. Inoltre, le implicazioni sono delicatissime, per cui chiarisco subito, in maniera da non essere equivocata: è responsabilità di tutti i cittadini d’obbedire alle leggi, ma è responsabilità dei tre poteri dello stato, il legislativo (parlamento), esecutivo (governo) e giudiziario (magistratura) assicurare e garantire un sistema di leggi che risponda ai criteri di logicità e di attuabilità. È la tanto decantata rule of law, ossia, l’ossatura portante dello stato liberale di diritto, quello in cui sia i cittadini, che le strutture dello stato hanno parimenti diritti e doveri, che devono essere rispettati da tutte le parti in causa. Un’altra piccola precisazione: per ovvi motivi, ho toccato solo alcuni punti, perché l’analisi dettagliata di ogni singolo aspetto dell’episodio richiederebbe lo scrivere un vero e proprio saggio.

    Con questo episodio assistiamo ad un salto di qualità da tutti i punti di vista e non potrebbe essere altrimenti. È l’episodio che ha a tema il processo a Max e tutti nei sono coinvolti e le vicende dei personaggi si intrecciano coralmente con le singole fasi del dibattimento e li condizionano, come ne sono condizionati. Ma questo è anche l’episodio nel quale il rapporto tra Brennan e il padre arriva al momento cruciale e tutta la tensione che, a partire dalla conclusione della prima stagione, abbiamo visto caratterizzare il rapporto padre-figlia si scioglie nell’abbraccio finale. È anche l’episodio nel quale viene affrontato il drammatico problema: cosa è giusto fare? Quale è il comportamento corretto da tenere? Il diritto alla difesa fino a che punto di estende? La questione può essere impostata anche secondo quest’altra prospettiva: l’ottemperare pedessiquamente la legge esaurisce del tutto l’ambito dei possibili comportamenti oppure, senza infrangere la legge, ma interpretandola, è possibile tenere un comportamento con cui difendere le proprie ragioni? Insomma, devo seguire la lettera della legge o mi è consentito avvalermi di quello che con linguaggio tecnico si chiama il suo spirito? Nell’episodio questa problematica, che interpella o dovrebbe interpellare la coscienza di tutti, si intreccia in maniera indissolubile con la risposta che finalmente Brennan può dare a se stessa: “Papà mi ama, papà è rimasto, si è fatto arrestare, corre il rischio della pena capitale per me, perché mi ama, perché sono importante, anche quando mi ha abbandonato l’ha fatto per me (che ci sia anche Russ in questi momenti è una considerazione che non è presente alla coscienza di Brennan), per salvare la mia vita, ha ucciso per me”. Finalmente, Brennan può rispondere all’assillo di tutta la sua vita: “Papà mi ama e so chi è, è colui che, a mia volta, posso amare, che amo” ed ecco che Brennan, fino ad allora abbastanza remissiva e passiva, si attiva, prende l’iniziativa, non vuole perdere il padre appena ritrovato, con la sua immensa generosità, con il cuore grande che si ritrova (se solo lo sapesse!), prende l’iniziativa. Mi piace soffermarmi ancora un pochino su questo snodo fondamentale, di cui alla sesta stagione ancora non possiamo cogliere tutti i frutti, a dimostrazione che, contrariamente alla pervicace convinzione di Brennan, non siamo macchine, ci vuole tempo, ci vuole pazienza e ci vuole speranza (quelle che, in fondo ha perso Booth nel suo “accontentarsi” di Hannah), perché per dare amore, bisogna prima averlo ricevuto. Il bisogno d’amore, ossia, l’essere accettati, compresi, riconosciuti, valorizzati, è ciò che in assoluto ci rende uguali, è la fame costante che ci accompagna, è la condizione naturale delicatissima e fragilissima, la quale, a seconda delle risposte che ottiene, ci può condurre alle altezze più elevate o ai baratri più terribili. Si può morire per assenza d’amore, come si può morire per troppo amore, quello possessivo, egoista, che vuole impadronirsi dell’altro, renderlo identico a sé, asservirlo e poi, solitamente, sputarlo.
    Di fronte alla consapevolezza del rischio che perda nuovamente questo padre appena ritrovato, come sappiamo benissimo, Brennan reagisce da par suo, con determinazione, con vero coraggio agisce e attira su di sé l’attenzione, proponendo l’ipotesi che l’omicidio sia stato lei a commetterlo (qui è una falla degli autori, perché, in effetti, Max di omicidi ne ha compiuti due, ma è stato imputato e portato sotto processo solo per uno, ma, evidentemente Brennan avrebbe potuto compierne solo uno). Così viene innescato il ragionevole dubbio, componente molto importante del processo con giuria negli USA, la quale viene invitata ad emettere la sentenza secondo la formula di rito “al di là di ogni ragionevole dubbio”, su cui non mi soffermo, perché al momento della trasmissione dell’episodio è stato argomento delle nostre analisi, per cui rimando al topic del forum.
    Nel fare questo, Brennan ha violato la legge? No, si è avvalsa di ciò che il sistema legale le mette a disposizione, seguendo anche i consigli di Booth: fatti già acquisiti e niente reato di spergiuro. Brennan agisce e consente all’avvocato l’esercizio pieno e totale del diritto alla difesa. Certo la sua iniziativa è al limite, ma il suo è un trucco? No, è argomentare in maniera da indicare alla giuria strade alternative, presentandole l’intera gamma di possibilità, mettendola nella condizione di dover riconoscere che non è solo Max l’unico colpevole possibile. Non per niente l’obiettivo viene centrato con l’interrogatorio di Booth, costringendolo ad ammettere che una simileipotesi è pienamente legittima, Brennan non testimonia e così non incorre nel reato dispergiuro. Ancora una volta, veniamo messi di fronte alle strutture portanti dei sistema penale statunitense: il presupposto d’innocenza e l’assoluta parità tra accusa e difesa. Nella realtà dei fatti, questi dogmi vengono disattesi o violati di continuo, ma, arrivati a questo punto delle nostre considerazioni, bisogna fissare un principio che vale sempre: anche se nella prassi la realtà è differente e in contraddizione con quanto viene formulato sul piano teorico, ciò non viene ad annullare o inficiare la validità di quest’ultimo rispetto al primo. In quanto esseri umani, tutti abbiamo, dobbiamo avere, obiettivi con i quali migliorare e far crescere nella civiltà le nostre condizioni di vita, il che non è possibile se non ci riconosciamo la prospettiva ideale. Sarà compito degli esseri umani, di momento in momento, di fase storica in fase storica, elaborare, correggere, integrare questo obiettivi, questi ideali in un rilancio continuo, che fa sì che l’esistenza umana di generazione in generazione si configuri come “un’umana avventura”.
    Il cammino tra Max e Brennan così può prendere una strada nuova e come ampiamente ci dimostrano gli episodi successivi non sarà affatto facile, ma alla conclusione di 3x13 possiamo riconoscere con soddisfazione che un padre e una figlia si sono ritrovati.

     
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    Sono contenta che tu abbia dedicato un'analisi tanto speciale e approfondita all'episodio che vede Max imputato.
    E' uno degli episodi che preferisco in assoluto.
    Mi piace proprio per il meccanismo descrittivo del processo, per la tattica usata per aiutare Max, per l'intensa reazione di Brennan.
    In quell'episodio c'è una delle frasi di Booth più belle - a mio parere - tra quelle che ha rivolto nel corso delle stagioni a Brennan.
    (Mi pare che la pronuncia quando è al banco degli imputati e gli chiedono di parlare di Bones. Correggetemi se sbaglio)

    E ... niente.
    Uno dei miei episodi preferiti.
    Lo meritava un commento diffuso anche perché stimola alla riflessione.

    Cito la mia parte preferita del post.


    CITAZIONE
    anche se nella prassi la realtà è differente e in contraddizione con quanto viene formulato sul piano teorico, ciò non viene ad annullare o inficiare la validità di quest’ultimo rispetto al primo. In quanto esseri umani, tutti abbiamo, dobbiamo avere, obiettivi con i quali migliorare e far crescere nella civiltà le nostre condizioni di vita, il che non è possibile se non ci riconosciamo la prospettiva ideale.

    Ecco, queste parole mi fanno riflettere e mi richiamano alla mente una cosa che scrisse una grande autrice. E' necessario guardare al grafico della vita umana non aspettandosi di vedere una sola linea, ma tre: quello che un uomo è stato, quello che ha voluto essere, quello che ha creduto di essere.
    Non penso che si possa prescindere da questi tre punti. Credo che questa riflessione abbia validità generale e si possa applicare sia alla vita umana (singola) che a temi come quello della giustizia.

    In altra maniera, questo post ha solleticato la mia fantasia, ispirandomi una mezza cosina da scrivere che probabilmente non realizzerò perché non mi sento capace.

    Alla prossima! ^___^


     
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  14. -Julia-
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    Eccomi qui, è stato un piacere ritrovare il tuo aggiornamento in questo topic. L'ho trovato particolarmente interessante dato che anche io ora ho iniziato i miei studi giuridici a partire proprio dal sistema legale statunitense. E mi piace sempre leggere le tue riflessioni che, partendo da uno spunto prettamante giuridico, offrono poi una più ampia e generosa prospettiva da prendere in considerazione.

    CITAZIONE
    In quanto esseri umani, tutti abbiamo, dobbiamo avere, obiettivi con i quali migliorare e far crescere nella civiltà le nostre condizioni di vita, il che non è possibile se non ci riconosciamo la prospettiva ideale. Sarà compito degli esseri umani, di momento in momento, di fase storica in fase storica, elaborare, correggere, integrare questo obiettivi, questi ideali in un rilancio continuo, che fa sì che l’esistenza umana di generazione in generazione si configuri come “un’umana avventura”.

    Questa parte mi ha colpito particolarmente. La condivido in pieno e iniziando a studiare proprio da poco quella che in diritto si dice funzione sociale mi sembra estremamente indicata questa tua considerazione. E mi vengono in mente le parole di Seneca:

    Societas nostra lapidum fornicationi simillima est, quae, casura nisi in vicem obstarent, hoc ipso sustineretur

    Ah quanto è vera! Se solo fosse compresa dalla maggior parte delle persone credo che il mondo sarabbe decisamente migliore!

    Grazie come sempre delle tue accorte e stimolanti riflessioni, alla prossima! ;)
     
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  15. sella
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    Scusatem i per il ritardo con cui vi ringrazio. I vostri commenti mi sono piaciuti moltissimo. Colgo l'occasione per fare ad ambedue gli auguri per i vostri studi, se doveste avere una qualche necessità, contattatemi con un MP senza alcuna preoccupazione.
     
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31 replies since 25/10/2009, 14:41   1796 views
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